Tesi di Laurea – (Parte VII)

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Intervista di Flavio D’Ambra a Mauro Storti.

1 – Biografia 2 – Il Metodo 3 – La Produzione 4 – I Programmi 
5 – La Didattica oggi 6 – Le “Ecloghe” 7 – Liuteria 8 – Il Futuro 

7 – LIUTERIA

Che strumenti ha utilizzato nella sua carriera?

Ho sempre usato due chitarre di Armando Giulietti e devo dire che non ho mai sentito l’esigenza di cambiarle. Egli era figlio di un liutaio di strumenti ad arco e aveva un fratello di nome Tullio, eccellente chitarrista professionista.

Ho comperato la prima di queste due chitarre, datata 1962 a Siena dietro consiglio di Alirio Diaz per la cifra folle di 130.000 Lire. La seconda è del 1972  ed entrambe sono ancora in perfetto stato malgrado gli sbalzi di temperatura e di umidità dei viaggi tra l’Africa e l’Austria.

Mauro Storti con una delle sue la sue Giulietti

Storti con una delle sue la sue Giulietti

È alquanto strano che nella sua recente pubblicazione sulla liuteria Angelo Gilardino abbia voluto dimenticare Giulietti nonostante la sua notorietà e la copiosa produzione di strumenti. Ricordo anche l’evidente soddisfazione espressa quando ebbe l’occasione di provare la mia prima.

Ultimamente Gilardino parla molto del liutaio Pabè

Francamente, di questo tal  Pabè non so nulla. Conservo anche un bel liuto e una copia di una chitarra dell’XIX secolo costruiti da Carlo Raspagni che per ringraziarmi dei numerosi acquisti di sue chitarre da parte di miei allievi (ho sempre rifiutato di ricevere delle percentuali), mi omaggiò di questi due strumenti.

Nel XIX secolo Mauro Giuliani suonava su uno strumento di questa fattura il suo concerto in La Maggiore diretto da Carl Von Weber con uno strumento non amplificato. Evidentemente riusciva a farsi sentire, considerato il successo che ebbe all’epoca. Nel XX secolo le modifiche tecniche apportate alla costruzione dello strumento hanno modificato il suono favorendo la risonanza a scapito di una minore direzionalità. Il successo di Giuliani non si è ripetuto con alcuni concerti del secolo passato in quanto l’orchestra copre il suono della chitarra, mi riferisco ad esempio al concerto di Villa-Lobos che Segovia suonò soltanto una volta in concerto e poi abbandonò.

Alla luce delle ultime modifiche apportate nella costruzione della chitarra che hanno incrementato notevolmente le potenzialità dinamiche con l’apporto di nuovi materiali come il carbonio, negli esperimenti di Matthias Dammann e Greg Smallman, lei è a favore di questa tipologia di esperimenti o al mantenimento delle tecniche costruttive tradizionali con l’apporto dell’amplificazione?

Ben venga la sperimentazione quando sia condotta senza perdere di vista la qualità dell’ascolto. Alcuni anni or sono ho assistito a Monaco di Baviera ad un concerto di John Williams in una sala gremita di almeno 3000 persone. Lo strumento era lievemente amplificato, ma devo dire che la cosa non disturbava affatto.

Tempo fa ho visto in concerto il chitarrista greco Costas Cotsiolis che accompagnava la sua bella chitarra Paco Marin ad un piccolo amplificatore con un sistema di microfonazione sotto il ponte, che portava con sè in valigia, ma che gli era costato una fortuna. Il risultato era gradevole.

Sì, infatti anche quello che ho sentito io con Williams non dava assolutamente fastidio.

Le chitarre di nuova generazione tendono ad esaltare delle componenti timbriche differenti che in parte snaturano il suono dello strumento.

Hai fatto l’esperimento della percussione sulla chitarra che propongo nel mio trattato? La chitarra può dare quello che può, ma la forza dipende dalla cavata, cioè dalla spinta, quello che chiamo nei miei testi “tocco teso”. Se uno decide solamente di tirare le  corde, può solo sperare nella bontà dello strumento.

Se oltre alla bontà il chitarrista affonda le corde, lo strumento è in grado di produrre la massima sonorità. La trazione laterale può produrre solo un suono debole e per il fatto di agganciare le dita, di lunghezza  diversa, è difficile che i suoni degli accordi risultino tutti perfettamente simultanei e di uguale forza. Insomma, si può disporre di una Maserati, ma poi bisogna saperla guidare. E lì conta il pilota.

Quindi, secondo lei lo sviluppo della tecnica può ancora portare giovamento allo strumento tradizionale?

Ho sentito Alirio Diaz suonare il concerto di Giuliani con orchestre abbastanza grandi e si sentiva benissimo anche senza amplificazione. Se tu consideri il funzionamento del pianoforte, vedi che i martelletti percuotono davanti alle corde, non di lato: è lo stesso principio.