Intervista di Flavio D’Ambra a Mauro Storti.
1 – Biografia | 2 – Il Metodo | 3 – La Produzione | 4 – I Programmi |
5 – La Didattica oggi | 6 – Le “Ecloghe” | 7 – Liuteria | 8 – Il Futuro |
3 – LA PRODUZIONE DIDATTICA
Mi parli della sua produzione didattica.
A partire dal 1966 la mia produzione si è orientata quasi esclusivamente sulla tecnica chitarristica e molto poco sulla didattica di base. Sul finire degli anni ’70 c’erano molte richieste di lezioni e i colleghi che insegnavano in Conservatorio avevano le classi piene. Pensando che potessero avere la stessa valenza formativa dell’attività corale mi decisi ad organizzare dei corsi collettivi dando vita all’Ateneo della Chitarra, in collaborazione con la Gioventù Musicale che mi forniva i locali in pieno centro a Milano, e a quella che ritengo essere stata la prima orchestra di chitarre in ambito nazionale.
A quel tempo non esisteva però un repertorio didattico specifico per corsi collettivi, a parte alcune elaborazioni di canzoni tedesche pubblicate da Karl Scheit, e pertanto mi applicai a comporre i primi brevissimi pezzi per formazioni d’insieme che furono poi raccolti e pubblicati nel 1980 col titolo di Estudiantina. Dopo tre anni l’Ateneo raccoglieva circa 130 ragazzi; i corsi erano organizzati in gruppi omogenei di 4/6 allievi che, dopo un breve esame a metà anno venivano ricollocati in modo da formare gruppi sempre dello stesso livello di capacità.
Gli allievi migliori che raggiungevano una preparazione adeguata venivano in seguito indirizzati in Conservatorio finendo per diplomarsi. Fra di essi ricordo in particolare Antonio Porro, Rocco Peruggini, Marco Pisoni e Filippo Michelangeli. In seguito a quell’esperienza iniziai a volgere sempre più il mio interesse verso la didattica di base e la propedeutica strumentale.
Un giorno, trovandomi in una scuola per esami fui attratto dalle grida provenienti dalla palestra dove dei ragazzi giocavano a pallacanestro e vedendoli così scatenati e urlanti pensai quanto fosse paradossale pretendere che a quell’età stessero fermi in posizione obbligata con chitarra, poggiapiede, leggio, libro e metronomo.
Nacque così l’idea di una metodologia di tipo ludico per i più piccoli che, al termine di una gestazione settennale, si concretizzò nella pubblicazione di due lavori per chitarra preparata: Il gioco della musica e Tuffarello e Funambolina, testi per un impiego giocoso della chitarra nella propedeutica musicale.
Tutto il materiale incluso nelle mie pubblicazioni è stato frutto di una continua sperimentazione e di approfondite verifiche volte a creare una metodologia basata su un percorso non fine a se stesso e di breve durata, ma con un un aggancio ininterrotto di passi successivi e mai fra di loro contraddittori. Così, ad esempio, L’Ora di chitarra, sebbene scritta in precedenza, si configura come l’ideale proseguimento di Tuffarello e Funambolina composti venti anni dopo.
A proposito dell’“Ora” è significativo l’approccio alla lettura con la quasi totale esclusione delle diteggiature.
Molte opere didattiche come quelle di Chiesa e di Sagreras eccedono nella notazione della diteggiatura impiegando in maniera quasi ossessiva infiniti numeri di riferimento anche per le corde a vuoto. Sagreras arriva ad “assediare” con ben sei segni differenti ciascuna nota alla quale tuttavia il bambino, non conoscendola, finisce per non volgere alcuna attenzione!
Avere eliminato nell’ Ora di chitarra la diteggiatura si è rivelato un grandissimo vantaggio per l’apprendimento della lettura, anche in considerazione del fatto che si tratta di un vero e proprio metodo di solfeggio strumentale perfettamente inserito nel lungo percorso previsto.
Nel graduale procedere del tracciato didattico è previsto che se al I corso l’allievo studia un pezzettino di tre righe in una settimana, nel II corso sarà in grado si studiare una pagina intera; nel III corso tre pagine e così via. Non è accettabile l’abitudine di tanti insegnanti di assegnare di preferenza solo i pezzi per gli esami: in questo modo l’allievo è condannato a studiare a lungo e accanitamente pochi pezzi cercando di superare difficoltà episodiche al di sopra delle sue capacità. Lo studio di tanta tecnica e di un consistente repertorio nei tre anni del periodo medio dovrebbero servire, al contrario, a conferire una maturazione tale che al termine del percorso di durata settennale l’allievo sarebbe già pronto per sostenere un buon esame di diploma.
Un aspetto interessante del suo metodo è l’affrontare delle difficoltà prima che queste si riscontrino nel repertorio.
Mi ha colpito una frase del chitarrista francese Arnaud Dumont, ottimo musicista, tra i vincitori del prestigioso concorso parigino di Radio France nel 1973. Egli ha scritto che il problema della didattica è quello di “pretendere dall’allievo cose eccezionali quando ancora non sa fare quelle normali”.
Nel Dominio delle corde puoi trovare l’applicazione pratica di quell’idea: le difficoltà che l’allievo può riscontrare negli esercizi polifonici della seconda parte in realtà non le troverà che dopo diversi anni venendo a contatto, ad esempio, con i primi contrappunti tarreghiani, bachiani o mozartiani. Tali difficoltà non si possono trovare nel primo repertorio ottocentesco in cui il contrappunto è usato per lo più nelle prime posizioni e con l’utilizzo prevalente di corde a vuoto. Uno studio prematuro del primo preludio in Fa diesis minore di Manuel Ponce, che si svolge quasi tutto senza corde a vuoto e con tante legature, sarebbe un vero e proprio salto mortale per la mano!
Un altro serio problema sta nel fatto che in tutti i metodi le lezioni sono disposte in salita e con una tale pendenza che lo studente viene a trovarsi troppo presto di fronte a difficoltà sproporzionate. Ciò vale tanto per le raccolte degli studi di Aguado, di Sor e di Giuliani che, pur disposti con una certa gradualità, diventano immediatamente difficili se manca un’adeguata e parallela formazione di base.
Alcuni anni fa, durante una passeggiata incontrai il maestro Ablóniz che non vedevo da tempo e gli chiesi se avesse qualche buon allievo. Mi rispose che tutti abbandonavano la chitarra dopo tre anni per indirizzarsi allo studio del pianoforte. Colui che era stato un antesignano della scuola spagnola, che fece conoscere il tocco appoggiato in Italia (fu allievo di un allievo di Miguel Llobet), non riuscì a formare alcun brillante allievo. Il solo di una certa notorietà, Aldo Minella, di cui esponeva un ritratto nel suo studio, in realtà era già stato avviato alla chitarra dal padre per poi proseguire con Segovia all’Accademia Chigiana.