Tesi di Laurea (Parte II)

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Intervista di Flavio D’Ambra a Mauro Storti.

1 – Biografia 2 – Il Metodo 3 – La Produzione 4 – I Programmi 
5 – La Didattica oggi 6 – Le “Ecloghe” 7 – Liuteria 8 – Il Futuro 

2 – IL METODO

Noto una certa reticenza dei didatti nel mettere per iscritto le loro idee: non esistono veri è propri metodi basilari. Ruggero Chiesa ha fatto un tentativo con il Guitar Gradus, ma riproponendo vecchie idee dei didatti dell’Ottocento.

Emilio Pujol, con la sua Escuela razonada de la guitarra (in 4 volumi) è  riuscito a fare qualcosa di più consistente e moderno rispetto ai metodi ottocenteschi, mentre con il Guitar Gradus Ruggero Chiesa si rifà del tutto ai soliti arpeggi di Giuliani e di Carulli (che reputo dannosi soprattutto se praticati all’inizio in quanto abituano la mano a tirare le corde anziché spingerle) e alla pratica di melodie popolari sull’esempio di quelle da me introdotte nella metodologia ben dieci anni prima con L’Ora di chitarra.

Cosa è un metodo? Che caratteristiche deve avere?

Mi ha sempre colpito la famosa frase di Segovia nella prefazione dei 20 Studi di Sor datati 1945, quando dice che non esiste ancora un metodo capace di portare l’allievo “dai primi timorosi passi alle altezze della perfezione”. Cito spesso questa frase in quanto effettivamente questo metodo ancora non esiste.

Se consideriamo ad esempio l’opera di Abel Carlevaro, curiosamente essa non tratta dei principianti per cui risulta in effetti destinata a studenti che già sappiano suonare. La cosa è molto strana, poiché da qualche parte bisogna pure cominciare e i primi passi sono spesso determinanti. Una ”scuola” per essere veramente tale non può essere indirizzata solo a studenti già bravi  “per natura”. La caratteristica fondamentale di un metodo che voglia dirsi tale, è la sua trasferibilità, ossia la sua adattabilità a qualunque persona.

Il metodo è quindi dell’insegnante o deve costruirsi sull’allievo?

Certamente il metodo non deve essere  considerato una “camicia di forza”! Se l’allievo è dotato di particolare predisposizione non può che  trovare in un buon metodo gli oggetti di studio più congeniali alla sua natura e ciò può consentirgli di  saltare eventualmente alcune delle tappe previste dall’iter regolare. Penso però che essere ligi a tutti i dettati di un programma dettagliato e graduale possa garantire lo studente contro imprevedibili lacune future. Per giunta va considerato che l’allievo dotato può procedere più speditamente poiché è solitamente in grado di praticare in una settimana quanto una persona normalmente dotata non riuscirebbe a fare in un mese. Il docente deve poi pensare che un domani l’allievo potrà essere a sua volta insegnante e gli sarà utile conoscere a fondo tutte le più nascoste pieghe del programma.

È importante sottolineare che non sono partito con l’idea di scrivere un metodo che, come è ovvio, dopo qualche anno sarebbe diventato obsoleto per diversi motivi quali ad esempio l’evoluzione del linguaggio musicale ed inevitabili ripensamenti come è accaduto al Pujol che, pubblicato il suo metodo “tonale” lo dovette ritoccare a distanza di qualche anno per far fronte a nuovi linguaggi musicali e alla produzione dei compositori non chitarristi.

A questo proposito, devo dire che paradossalmente i miei allievi sono stati gli ultimi in ordine di tempo a recepire le caratteristiche del mio “metodo” avendolo trovato bell’e pronto e avendolo seguito acriticamente e senza confrontarlo con altri metodi. Alcuni di essi, come Guido Fichtner e Carlo Bonati, docenti rispettivamente nei conservatori di Novara e di Como stanno inserendo alcuni dei miei testi nei programmi ufficiali del Conservatorio, ma si tratta di un processo di divulgazione molto lento.

Un altro mio ex allievo, Diego Cantalupi insegnante di liuto a Bari, utilizza il Dominio delle corde per correggere le mani storte dei suoi allievi! E pare che anche gli altri maestri di chitarra abbiano ora cominciato a fare studiare tale testo che pochi, in quarant’anni, si sono presi la briga di andare a sfogliare …. Che inerzia terribile!

Altro aspetto che mi è stato sempre a cuore è la continuità del processo di apprendimento. Non tutti gli studenti sono destinati a diventare dei grandi concertisti ma il metodo deve essere un filo-guida ininterrotto che, come una grande autostrada presenta tante uscite; l’allievo che non arriverà alla meta per avere “finito la benzina” potrà prendere una delle tante uscite laterali, ma ciò che avrà realizzato lo avrà fatto nella maniera corretta e sarà sempre un ascoltatore attento e informato sulla musica e sulla chitarra.

Nell’ambiente chitarristico succede spesso che chi suona bene lo fa perché ha un dono di natura. Solitamente all’allievo che rivela particolari difficoltà si consiglia di “appendere la chitarra al chiodo” ma ciò, oltre a non essere giusto rivela la mancanza di metodo e l’incapacità del docente ! Tutti studiamo la matematica, anche se non tutti aspiriamo a diventare professori di matematica; impariamo quel tanto che ci basta per vivere. E perché una scuola normale non dovrebbe poter consentire a tutti di diplomarsi con le votazioni più o meno alte, dal 6 al 10!

Penso sia fondamentale per il didatta preservare intatto l’interesse per l’allievo nei confronti della musica. Spesso chi ha avuto esperienze didattiche traumatiche ha un rigetto che soltanto dopo diversi anni riesce a superare.

Verissimo! Un giorno mia moglie, che viaggiava in treno con una chitarra, venne avvicinata da un signore che le confessò di avere studiato la chitarra per alcuni anni ma che arrivato allo studio in Si minore di Sor (il n.5 della revisione segoviana) dovette abbandonare perché non riusciva a superare la difficoltà della prima modulazione! Purtroppo non potremo mai sapere quante persone hanno smesso di studiare la chitarra per la mancanza di un metodo.

Pensa che problematiche simili, inerenti la didattica, riguardino anche altri strumenti oppure la grande tradizione che hanno dietro li rende in un certo senso “immuni”?

Gli altri strumenti hanno una grande tradizione, appunto. Considerando ad esempio il pianoforte, si può fare un libro soltanto con i titoli dei libri che sono stati scritti sulla tecnica pianistica! Ci sono libri, manuali, trattati… mentre, se ci pensi, per la chitarra non c’è niente! Nemmeno un vero metodo: anche il Gangi, ad esempio, dopo diverse pagine di arpeggi inizia un ripido percorso in salita con tanto di barré ecc..

Infatti, i primi due volumi non sono che una raccolta di esercizi come quelli di Ruggero Chiesa. Il terzo volume invece è un’altra storia, una raccolta di studi pregevoli che al limite potrebbero fare da appendice ad un metodo, ma che non penso possano dirsi metodo. Non ne ha le caratteristiche.

Anche tra i volumi di tecnica di Abel Carlevaro c’è quello degli arpeggi costruiti su un solo e unico accordo di settima diminuita che, oltre a non avere alcun valore musicale, affatica oltre misura il braccio sinistro  mettendolo a rischio di tendinite. Faticosissimo è anche il Pujol che ho utilizzato per parecchio tempo: gli studi sono interessanti, ma sostanzialmente non ti dice come gestire al meglio le tue mani.

Neanche il Sagreras può essere considerato un metodo: nei 240 pezzi raccolti nei primi cinque volumi sono del tutto assenti le scale che compaiono solo nel sesto volume come oggetto di studio a sé stante e al di fuori di qualunque altro contesto strutturale. E ciò spiega perché quando ti capitano sorprese inattese come le scale del Fandanguillo di J.Turina, dello studio n. 7 di Villa-Lobos o della Ciaccona di Bach, assumono un carattere eccezionale e minaccioso.

I metodi ottocenteschi di Carcassi, di Carulli e di Giuliani, tutti assai simili tra loro sono anch’essi raccolte di pezzi e totalmente privi di precise spiegazioni tecniche relative alla loro esecuzione.

In conclusione, un vero metodo non esiste e ritengo che quello da me progettato possa venire considerato tale anche in vista della riduzione dei tempi di apprendimento e degli anni di studio. Nel tempo fra il quinto e l’ottavo anno che gli studenti trascorrono solitamente lavorando su un ristretto repertorio di pezzi obbligati per gli esami, è previsto lo studio di un cospicuo e vario repertorio finalizzato alla  maturazione degli aspetti interpretativi: l’epoca e lo stile degli autori, la forma, il fraseggio, l’espressione e la comunicazione.