Il complicato gioco strumentale chitarristico chiama in causa una mano sinistra che prepara i suoni e per la quale si può propriamente parlare di “danza della serva padrona” e una mano destra cui compete il delicato compito di dar vita ai suoni comunicando, con una raffinatissima tecnica espressiva, il pensiero filosofico ed estetico del compositore e dell’interprete, cosa per la quale merita a pieno titolo l’appellativo di “mano maestra”. Non ci si rifà qui all’antica chitarra spagnola, accompagnatrice di canzoni sacre e profane né alla chitarra francese ottocentesca, signora dei salotti dove nobili e borghesi amavano dilettarsi suonando controdanze, valzer, cacce, arie variate e rondò: alla mano destra di allora non si chiedeva che di pizzicare le corde dal basso verso l’alto avendo cura di imprimere loro una vibrazione energica ma non stridente per cavare dallo strumento la maggior sonorità possibile.
Le eventuali indicazioni dinamiche come crescendo e diminuendo si intendevano da applicare all’intero flusso musicale o, se mai, all’azione più energica del pollice, e pertanto l’esecuzione di strutture composte come quelle illustrate nelle Figure 1 e 2 venivano eseguite come semplici arpeggi dando vita ad un fascio sonoro di voci appiattite entro un medesimo e comune livello dinamico.
Solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con il perfezionamento dello strumento cominciò a farsi strada l’idea di immaginare le sei corde come una tavolozza di singolari colori timbrici applicabili con grande giovamento espressivo alle pagine del nuovo e più impegnativo repertorio contrappuntistico. Tale idea, messa in atto inizialmente da Regondi, Tárrega e Llobet risulta definitivamente acquisita nel repertorio del novecento e suggellata finalmente con il ben noto aforisma di Andrés Segovia: “La chitarra è una piccola orchestra: ogni corda è un colore e una voce differente”.
Non v’è alcun dubbio che il Maestro, universalmente riconosciuto come grandissimo interprete, abbia saputo tradurre in arte concreta questo suo concetto per mezzo di un’eccezionale tecnica della sua “mano maestra” ma se una traccia uditiva di tale tecnica è ben percepibile nei suoi dischi (da chi abbia orecchie di grande sensibilità), essa non è tuttavia sufficiente per indovinare i connotati pratici del meccanismo manuale messo in atto per fare emergere con lampante evidenza dinamico-timbrica le voci melodiche spesso intrappolate entro la trama armonica. Se si vuole tentare di redigere un Know-how del tocco, il primo passo da compiere consiste nell’operare una netta distinzione tra il gioco dinamico e il gioco timbrico, anche se all’atto pratico sono sempre strettamente connessi.
Sulle caratteristiche dinamiche dello strumento chitarra, già approfondite altrove,[1] sarà qui sufficiente richiamare quelle che sono le condizioni di massima sonorità effettuando il semplice esperimento illustrato in Fig.3. Se si prova a percuotere anche debolmente la sesta corda con una bacchetta si può rilevare come, a parità di forza applicata, la percussione verticale in direzione della tavola armonica (b), produca una sonorità notevolmente maggiore rispetto a quella risultante dalla percussione in direzione orizzontale (a). Tale esito è conseguente alla maggiore o minore quantità di energia vibratoria trasmessa alla tavola armonica dall’oscillazione del ponticello.
La possibilità di “affondare” al massimo le corde in direzione della tavola armonica per cavarne la maggior sonorità dipende dall’ampiezza della cosiddetta action, intesa come distanza delle corde dal piano della tastiera (Fig.4). Tale distanza, misurata al 12° tasto della 6a corda può variare da 4 a 5 millimetri che sembrano poca cosa ma che sono sufficienti per realizzare una notevole gamma dinamica.
Quanto all’effettiva resa sonora, il massimo grado di intensità attribuito alla chitarra è di 91 Db, ovvero 15 Db per ogni corda[2] ma è noto che, a livello uditivo, il volume sonoro percepito non è in relazione lineare con l’intensità poiché l’orecchio sembra rispondere secondo una scala logaritmica.
Un diagramma come quello tracciato in Fig.5, costruito in base ad una progressione geometrica, può tuttavia rappresentare in maniera approssimativa il rapporto fra la profondità dell’affondamento della corda e l’intensità del suono risultante. Come si può osservare, ogni millimetro di incremento dell’affondamento produce un aumento esponenziale della sonorità.
Variando la forza e la direzione delle spinte di attacco il chitarrista può dunque disporre di una ragguardevole gamma dinamica che va dal pianissimo del tocco di trazione laterale “libero” al fortissimo del tocco di spinta frontale “appoggiato” passando per tutte le gradazioni intermedie di forza realizzabili con un tocco di spinta “teso” dalle varie angolazioni di attacco.
Se si aderisce al concetto segoviano della “piccola orchestra” non si può fare a meno di considerare le dita come singoli componenti di tale orchestra, dotati di una propria e autonoma capacità operativa che consente loro di giocare disinvoltamente entro una gamma di angolazioni e di forze compresa fra il pp e il ff (Fig.6).
Le modalità tecniche di esecuzione di ciascuno dei tre tipi di tocco sono illustrate nelle seguenti Fig.7, 8 e 9:
Tocco libero – Si tratta di un tocco di trazione laterale: il dito, posto sotto la corda, la tira verso l’alto per poi sganciarsi con un rapido gesto di ripiegamento delle falangi. Il livello dinamico così prodotto non può superare il mezzo forte se si vuole evitare di produrre un suono “strappato”.
Tocco teso – Si tratta di un tocco di spinta frontale: il dito, posto davanti alla corda con tutte le articolazioni saldamente bloccate fino al polso, la spinge in direzione della tavola armonica per poi svincolarsene con un ripiegamento rapido estroverso delle falangi. Il livello dinamico così prodotto può giungere fino al forte.
Tocco appoggiato – Si tratta di un tocco di spinta frontale: il dito, posto davanti alla corda con tutte le articolazioni saldamente bloccate fino al polso, la spinge in direzione della tavola armonica fino a svincolarsene scivolando verso la corda sottostante e arrestandosi su di essa per un breve istante. Il livello dinamico così prodotto può giungere fino al fortissimo.
Da quanto su esposto risulta evidente che con una sapiente combinazione dei tre tipi di tocco è possibile agire su ogni singola corda o su più corde simultaneamente per dosare a piacere la forza dei suoni quale che sia il tipo di struttura musicale: melodica, armonica, contrappuntistica o composta, come illustrato negli esempi seguenti.
Dinamica nelle strutture melodiche. Lo scambio senza soluzione di continuità tra i tocchi libero, teso e appoggiato consente di realizzare un graduale crescendo dal mp al ff (Fig.10). Come si vedrà meglio in seguito, il cambio continuo o repentino del tipo di tocco può risultare agevole solo con l’assetto alto della mano e con le dita distese. Un altrettanto graduale diminuendo è realizzabile, ove occorra, con l’azione inversa.
Dinamica nelle strutture armoniche. Per realizzare un graduale e ininterrotto crescendo in una struttura armonica occorre giocare sulla variazione delle forze di spinta tanto nelle forme accordali (Fig.11) in cui sono interessate simultaneamente tutte le corde, quanto nelle forme arpeggiate (Fig.12) nelle quali le dita attaccano in tempi differiti ma con una pressione graduale e continua della mano e finanche di tutto l’avambraccio.
Dinamica nelle strutture contrappuntistiche. Per rendere chiaramente udibile una trama musicale complessa può essere necessario diversificare i piani sonori delle varie voci mediante l’impiego di tocchi simultanei ma differenziati di ciascun dito. Nel caso illustrato in Fig.13 si tratta di far risaltare, con un adeguato e costante livello dinamico la voce principale, disposta in parte sulla quarta corda e in parte sulla prima e la seconda. Il compito è dei più ardui quando, come in questo esempio, si tratta di porre in rilievo una singola nota immersa in un agglomerato accordale.[3]
Dinamica nelle strutture composte. Come si è visto, il repertorio ottocentesco è costituito quasi totalmente da strutture composte nelle quali il tracciato melodico si snoda in senso longitudinale pressoché unicamente sulle prime due corde (si osservi la linea rossa nelle Fig.1e 2). A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, tracciati melodici che si muovono anche trasversalmente su più corde si possono rinvenire nelle opere di Regondi, Tárrega, e Llobet (Fig.14, 15, 16) e in seguito, sul loro esempio, in brani originali e trascrizioni (Fig.17).
Non va dimenticato, in tutti i casi, che porre in rilievo la melodia, quale che sia la sua più o meno elaborata disposizione strumentale, non deve significare privarla del suo potenziale espressivo appiattendola su un solo e monotono livello dinamico: il piano e il forte, il crescendo e il diminuendo sono sempre “attrezzi” essenziali per dar vita ad un avvincente gioco melodico.
- Implicazioni didattiche.
Affinché le dita siano messe in condizione di realizzare con estrema prontezza e precisione il gioco dinamico, è della massima importanza che la mano destra risulti disposta nell’assetto basilare più funzionale e univoco, ossia tale da non richiedere modificazioni estemporanee più o meno frequenti che possono essere di grave intralcio alla scorrevolezza e alla velocità.
Un assetto come quello rappresentato in Fig.18, che mostra le dita ricurve in procinto di eseguire un accordo stretto con un attacco di prevalente trazione frontale, descrive una posizione di partenza che non potrebbe venire applicata senza grave impaccio a tutte le possibili disposizioni accordali illustrate in Fig.19.
Con tale assetto l’esecuzione degli accordi stretti dell’esempio n.1 sarebbe di fatto possibile solo con un tocco libero di sonorità ovviamente contenuta per evitare effetti di “strappo” e inoltre, data la diversa lunghezza e curvatura di ciascun dito, i suoni delle varie corde potrebbero ben difficilmente risultare perfettamente simultanei e di identico livello sonoro.
Quanto alla seconda battuta dello stesso esempio, la possibilità di eseguire gli arpeggi con un tocco misto che richieda oltre al tocco libero un eventuale tocco teso o appoggiato di un dito qualsiasi su una singola corda, risulterebbe assai problematica per la necessità di effettuare continui e repentini aggiustamenti della mano. D’altro canto, qualora si scegliesse di rinunciare del tutto al tocco di spinta, ne risulterebbe un appiattimento dinamico ristretto e uniforme dell’intero tratto.
La situazione peggiora ulteriormente se si considerano gli esempi dal n.2 al n.5, relativi a figure accordali e arpeggiate in forma lata, poiché la curvatura sempre più accentuata che le dita verrebbero ad assumere sarebbe tale da richiedere un attacco sempre più accentuato di trazione frontale rendendo del tutto impossibile applicare un tocco teso o appoggiato a qualsiasi corda.
La Fig.20 mostra in maniera autorevole e inequivocabile l’assetto basilare, a dita distese, di due “mani maestre”. Anche in caso di estrema dislocazione, con tale assetto, le dita non giungono mai ad assumere una curvatura tanto accentuata da impedire quel tocco di spinta su cui si fonda, in definitiva, una corretta ed efficiente tecnica dinamica della mano destra.[4]
Non si può negare che l’accresciuta complessità del repertorio odierno, a partire dalle trascrizioni di Bach fino alle più recenti opere di compositori non chitarristi, presenti inusitate difficoltà tecniche imputabili in massima parte all’introduzione a pieno titolo di una struttura musicale come il contrappunto puro [5] pressoché ignoto ai chitarristi dell’Ottocento, adusi per lo più all’esecuzione di strutture melodico-armoniche imperniate sulle rigide figure accordali utilizzate per l’accompagnamento.
Se si è cercato fin qui di dimostrare che un sapiente uso differenziato dei tocchi può riuscire a conferire alle pagine scritte la trasparenza e il “respiro vitale” che strumenti e pratiche antiche non permettevano, si è potuto d’altro canto notare come ad essa si richieda oggi ben altra tecnica che quella antica del cosiddetto “pizzico”. Ciò deve indurre a qualche seria riflessione sulla didattica di base rimasta a tutt’oggi saldamente ancorata alla scuola ottocentesca poiché, di fatto, i metodi che vanno sempre per la maggiore sono ancora quelli bicentenari di scuola italiana (Carulli, Carcassi, Giuliani) e quelli non meno vetusti della scuola spagnola (Aguado e Sor).[6]
Poiché non si può immaginare una letteratura didattica di livello elementare basata su una struttura di eccezionale difficoltà come il contrappunto puro, è giocoforza accettare di buon grado che un principiante muova i primi passi iniziando dal più semplice ed accattivante repertorio metodologico ottocentesco avendo però l’accortezza di prevenire l’instaurarsi di una manualità errata in quanto, come avverte Sor con evidente rammarico: “C’è un’età oltre la quale è difficile lottare contro la piega che le dita hanno assunto in seguito ad una pratica protratta fino all’assuefazione”.
Occorre dunque che la mano del principiante venga allenata in modo corretto e per un tempo adeguato fino a farle assumere stabilmente un assetto alto e a dita distese e, (Fig.20) a questo scopo è necessario:
- Praticare assiduamente ed esclusivamente il tocco appoggiato nell’esecuzione delle melodie.
- Praticare i primissimi arpeggi esclusivamente in tocco appoggiato per poi continuare con le più svariate formule di arpeggio misto, ossia inclusive di almeno un tocco appoggiato su ciascuna delle prime tre corde.
- Effettuare i bicordi e gli accordi con attacchi di pura spinta frontale.
[1] M. Storti: Trattato di chitarra, Cap. 11 e 12.
[2] Il Decibel rappresenta, con buona approssimazione, la minima differenza di intensità tra due suoni che l’orecchio umano può percepire. I valori su citati rilevati all’aperto in campo libero a 3 metri di distanza dalla fonte sonora sono tratti da Fisica nella musica di Andrea Frova.
[3] Sull’acquisizione della tecnica specifica v. M.Storti: L’arte della mano destra, Lezione VII.
[4] Per l’acquisizione di un assetto corretto efficiente si vedano gli esercizi in M.Storti: 12 Lezioni di tecnica superiore, Lez.V e L’Arte della mano destra, Lez. VIII.
[5] M.Storti: Trattato di chitarra, Cap.127.
[6] A dare manforte al perdurare dell’inerzia in campo formativo contribuisce oggi pesantemente il fenomeno internet che ponendo alla portata di tutti unicamente il vecchio e accattivante repertorio melodico-armonico ottocentesco, il solo di dominio pubblico, impedisce a maestri e allievi di uscire dal recinto mentale di una tecnica tradizionale storicamente e artisticamente cristallizzata.