Sarà capitato certamente anche a voi di sentir dire a più di una persona: “Da ragazzo mi sarebbe piaciuto imparare a suonare uno strumento ma dopo alcuni mesi spesi con un maestro nella pratica esclusiva del solfeggio parlato, mi venne meno la voglia di continuare e piantai tutto!”. Non è detto che ciò non accada ancor oggi, anche se da tempo si è capito che è meglio far precedere la pratica alla teoria, ma sembra che perduri la ferma convinzione che teoria e pratica debbano procedere di pari passo fin dalle prime lezioni.
Si deve ammettere che ciò può essere senz’altro giusto e necessario soprattutto per chi studi uno strumento melodico, a fiato o ad arco, oppure il pianoforte che sebbene dotato di un enorme potenziale musicale, richiede inizialmente l’adozione e di una semplice pratica melodica ad una o a due mani su voci ad andamento parallelo, ma va subito detto che purtroppo ciò non vale per la chitarra “classica”, anch’essa dotata di un notevole potenziale musicale, per la quale il primo approccio risulta alquanto complicato.
E’ sufficiente osservare i due esempi seguenti tratti dalle primissime pagine di due dei metodi più reputati e ancora largamente in uso, per rendersi conto di quanto possa essere ostico decifrare il più semplice studio che oltre ad essere strutturato in forma contrappuntistica, è scritto in maniera criptica e approssimativa.
Da una semplice espansione visiva della prima riga di entrambi gli esempi si può notare come a causa della fissità delle posizioni accordali della mano sinistra, composte sia da corde tastate che da corde a vuoto, la durata effettiva dei suoni di ciascuna voce non è quasi mai corrispondente alla durata rappresentata dalle note scritte sicché, fin dai primi passi, allo studente di chitarra non si richiede di decifrare una semplice traccia lineare, come avviene per il solfeggio parlato e per gli strumenti monodici, ma una vera e propria partitura a due, tre e finanche 4 voci (Es.3 e 4):
In base a queste considerazioni è lecito chiedersi quale utilità immediata possa derivare al nostro principiante dalla pratica concomitante di un solfeggio strettamente melodico e dallo studio di una teoria musicale scollegata dall’esercizio strumentale, e se non sia più logico indirizzarlo fin da subito verso l’uso pratico dello strumento.
Poiché in tutta la storia della metodologia chitarristica classica non è mai stato previsto da alcuno un primo approccio melodico che andasse oltre la semplice rassegna delle note in prima posizione, ho ritenuto utile comporre un apposito metodo elementare di lettura da praticare direttamente sullo strumento (e magari da accompagnare con il canto) nel quale il materiale di studio è costituito da brevi melodie originali e da canti popolari di vari Paesi ordinati per grado di difficoltà, in modo da costituire un vero e proprio Metodo di solfeggio suonato.
Dopo oltre 40 anni di applicazione, tale metodo dato alle stampe da Carisch nel lontano 1973 con il titolo L’ora di chitarra, impostosi subito come un best-seller della metodologia di base e ancor oggi largamente utilizzato, ha dimostrato di poter supplire in maniera piacevole ed efficace alla pratica inutile e notoriamente noiosa del solfeggio parlato.
Con esso lo studente si trova ad affrontare gradualmente una lettura ritmo-melodica che partendo dai tempi semplici di 2/8 3/8 e 4/8 giunge fino alle note puntate nei tempi di 2/4, 3/4, 4/4 in perfetta sintonia con un altrettanto graduale percorso di sviluppo della tecnica manuale che partendo dall’esecuzione di brevi tratti melodici, giunge fino alla pratica di un piacevole repertorio polifonico a due, tre e quattro voci simile in tutto agli studi del primo repertorio classico del tipo sopra illustrato.[1]
Un ulteriore aspetto del complicato primo approccio alla chitarra che importa sottolineare , è che a differenza di altri strumentisti per i quali tra la fase di lettura di una nota e l’individuazione del tasto da toccare non intercorre che un breve istante, per il principiante chitarrista la produzione di un singolo suono può avvenire soltanto dopo avere messo a fuoco, oltre ai caratteri della nota scritta (nome, posizione sul rigo, durata, stato naturale o alterato) ben 6 parametri dell’azione di ciascuna mano, spesso ma non sempre suggeriti dallo spartito:
E’ evidente che i tempi di definizione e di attuazione di queste sei fasi preliminari coinvolgenti in ugual misura tanto l’attività mentale che quella fisica, non possono che risultare dapprincipio piuttosto lunghi e cominciare a ridursi gradualmente solo in seguito all’instaurarsi di automatismi generati da un’assidua ripetizione.
N.B. Va da sé che per un allievo giunto ad un primo stadio avanzato di apprendistato, lo studio del solfeggio e della teoria non può che diventare un impegno ineludibile qualora egli intenda proseguire negli studi musicali fino al raggiungimento di un alto e solido livello professionale e artistico.
[1] Sono altresì da segnalare due ulteriori e più recenti lavori per destinati ai bambini da 6 a 8 anni: Il Gioco Della Musica e Tuffarello E Funambolina (Casa Musicale Eco) basati sull’impiego della chitarra nella propedeutica musicale, in sintonia con il principio enunciato da Carl Orff di “permettere ai bambini la pratica di una musica d’insieme che li affascini e li formi fin dai primi giorni del loro apprendistato musicale, ossia prima di qualsiasi conoscenza teorica”.
[2] Ricordo il caso di una piccola allieva undicenne appena iscritta alla 1a classe della scuola Media che, richiesta di dare un saggio delle sue capacità chitarristiche, eseguì una Sonatina di Paganini di ben due pagine con grande stupore dell’insegnante di musica, incredulo che si potesse suonare un tale pezzo“senza avere mai studiato solfeggio!”