V’è chi ritiene che il rimedio per vincere la paura del pubblico possa consistere nel praticare un qualche metodo di rilassamento psico- fisico come il training autogeno, il Feldenkreis, lo Yoga o l’Alexander, senza considerare che per suonare uno strumento non è sufficiente, per quanto utile, instaurare rapporti corretti e funzionali tra la propria mente e il proprio corpo, ma è necessario innanzitutto instaurare un corretto e funzionale rapporto operativo ergonomico extracorporeo con un attrezzo qual è lo strumento musicale.
Per quanto attiene alle cause fisiche, va osservato che l’instaurarsi di un buon rapporto operativo ergonomico tra esecutore e strumento può nascere unicamente dalla pratica graduale e assidua di esercizi e studi concepiti espressamente in funzione delle molteplici situazioni tecniche e musicali che, come in un gioco caleidoscopico, possono presentarsi in fase esecutiva.
Quanto alle cause mentali e sociali, la loro rimozione passa per un assiduo ricorso a momenti di verifica da attuarsi con esibizioni pubbliche sempre ben calibrate sul livello di preparazione via raggiunto dallo studente.
L’esecutore non può sperare di sentirsi libero da vincoli fisici inibitori e al riparo dai traumi di una paralizzante emotività di fronte ad una commissione di esame, una giuria di concorso o una platea di ascoltatori, se non può contare su un sicuro dominio dello strumento e su una buona assuefazione alla presenza del pubblico.
Un pensiero di…..Richard Robinson[1]
“Per una settimana abbiamo provato un pezzo allo strumento. Andava tutto benissimo finché eravamo per conto nostro, ma quando arriva il momento cruciale dell’esibizione e, nel silenzio carico di attesa, tutti hanno gli occhi puntati su di noi, andiamo in tilt. Perché?
Innanzitutto va detto che suonare uno strumento musicale non è facile. I movimenti coordinati comportano l’attivazione di diverse aree cerebrali. Il cervelletto ci permette di tenere la schiena diritta e di sapere dove abbiamo le dita e i pollici; il putamen [2] ha memorizzato l’abilità manuale appresa; l’ippocampo ci aiuta a gestire le nuove competenze; le aree motorie e sensoriali governano i veri e propri movimenti muscolari; la corteccia frontale riflette sull’interpretazione. I lunghi esercizi servono soprattutto a coordinare i vari settori del cervello.
Quando c’è coordinazione, le dita volano sulla tastiera senza che nemmeno ci pensiamo; anzi, è essenziale che non ci pensiamo, perché interromperemmo il dialogo privato tra le aree cerebrali. È quello che viene chiamato “stato di grazia”, anche se in realtà l’unica grazia è quella di lasciar eseguire al cervello i suoi molti compiti senza interferire.
La presenza del pubblico cambia tutto. La nostra calma viene violata dall’intrusione di pensieri provenienti da aree inaspettate del cervello. “Ho i capelli a posto? Spero che nessuno abbia notato il brufolo. Non devo dimenticarmi di fare l’inchino. Non l’avrò già fatto?” Inoltre, la presenza di altra gente nella sala induce i neuroni specchio ad attivarsi: il pubblico apprezza la musica “attraverso” di noi, ma anche noi cominciamo ad ascoltare il pezzo attraverso le orecchie del pubblico. I lunghi esercizi non ci hanno preparato a queste “stecche” neuronali e naturalmente, appena ne acquisiamo la consapevolezza, la coordinazione scompare.
Dobbiamo imparare a eliminare l’interferenza dei pensieri estranei all’arte e far tornare il cervello in stato di grazia. La cura più semplice per la timidezza è esercitarsi in compagnia. Allo stesso modo in cui camminare sull’orlo dei burroni fa passare la paura del vuoto, suonare con altre persone nella stanza aiuta a non sentire più la presenza ingombrante del pubblico”.
Un pensiero di…..Katò Havas[3]
La paura di suonare in pubblico può essere ricondotta a tre ordini di cause:
- cause fisiche: lo strumento scivola; è scordato; le mani tremano; i salti fanno paura.
- cause mentali: timore di non suonare abbastanza forte; di non suonare abbastanza veloce; di avere vuoti di memoria.
cause sociali: sottovalutazione delle proprie capacità; timore di deludere le aspettative del maestro e dei parenti; timore di “fare brutta figura”.
Un pensiero di…..Gisèle Brelet [4]
- “Per quanto accuratamente preparata, l’esecuzione in pubblico è sempre una
avventura”.
- “Suonando per sé solo, l’esecutore tende ad accontentarsi di un‘esecuzione soltanto intenzionale nella quale ciò che vuole è semplicemente indicato e suggerito ma non realizzato. La sua esecuzione rimane incompleta e risulta in certo qual modo insufficiente e astratta. Solo la presenza del pubblico è in grado di darle completezza”.
- “Nulla è più stimolante per l’esecutore che la presenza di un pubblico attento ed esigente”.
- “L’esecutore non sa veramente ciò che vuole e ciò che può che in presenza del pubblico, e questa è la ragione per la quale egli è sicuro di se stesso, nella esecuzione di un’opera, solo se l’ha suonata spesso pubblicamente. Lo studio, per quanto spinto, non basta mai da solo a garantirgliene il pieno possesso”.
[1] Richard Robinson: Perché il toast cade sempre dalla parte imburrata? (Mondadori).
[2] Struttura del sistema nervoso centrale localizzata nell’encefalo che assieme ad altre strutture adiacenti interviene nel processo di formazione del movimento volontario con meccanismi di inibizione e di regolazione.
[3] Kató Havas: La paura del pubblico, Turris Editrice (Cremona, 1997).
[4] Gisèle Brelet: L’interprétation creatrice, P.V.F. Paris, 1951.