Oltre lo Specchio

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Mi torna spesso alla mente la simpatica figura di un liutaio spagnolo che, fornito di un consistente stock di chitarre da “piazzare”, calava ogni tanto in Italia a caccia di acquirenti. Dotato di una parlantina piena di verve e non privo di un arguto e imprevedibile estro filosofico, si compiaceva talvolta di raccontare, con somma discrezione, qualche aneddoto intorno al bizzarro mondo dei chitarristi. Avvezzo ad ascoltare le osservazioni, i suggerimenti, le critiche e gli apprezzamenti più o meno azzeccati o strampalati, mi raccontò di essere rimasto un giorno sorpreso e perplesso quando un maestro, dopo aver provato una chitarra, gli chiese di poterla esaminare più accuratamente a casa sua “davanti ad uno specchio”.

Oltre lo Specchio - Mauro StortiQuasi fosse  al corrente di questo episodio emblematico, l’illustre maestro Franco Donatoni ebbe ad affermare in una intervista che “nei chitarristi c’è un narcisismo sconfinato”. E possiamo immaginarcelo, quel novello Narciso, seduto dinanzi ad un grande specchio mentre contempla inebriato la perfezione della sua figura “iscritta dentro un grande uovo” e la magica grazia dei suoi gesti che sanno trarre da quella sorgente …“un’infinita varietà di suoni” (citazioni autentiche e controllabili!).

E’ pur vero che alla chitarra, considerata da sempre strumento intimistico, si addice meglio la raccolta atmosfera di un salotto, ma un dialogo fra Narciso e lo specchio non è, in definitiva, che un soliloquio durante il quale viene escluso tutto il resto del mondo, e la musica stessa si riduce ad un pretesto per un compiacente gioco solipsistico fatto “di pure intenzioni, di fluide  rêveries e di sentimenti soggettivi ed egoistici” (G.Brelet).

Così, quando accade che l’occasione o l’ambizione pongano Narciso a contatto con un pubblico che lo sta ad ascoltare “oltre lo specchio”, si possono dare casi come quello dell’interprete celebrante che sembra voler dire:

“ascoltate e unitevi a me con fede e umiltà per partecipare al rito misterioso del quale io solo conosco il vero significato!”,

o quello dell’istrione­:

“Stupite signori, ed osservate l’intensa sofferenza che traspare dai tratti del mio viso e le funamboliche prodezze delle quali io solo sono capace!”,

o quello dell’esibizionista che finge di non sapere di essere osservato:

“Ammirate la poetica bellezza della mia figura, la composta dolcezza dei miei gesti e immaginate la purezza del mio ideale artistico!”

(non vi pare di vedere l’ineffabile ritratto di Matteo Carcassi?).[1]

Ma la Musica, chiediamoci, che fine fa la Musica? E del pubblico, che ne è? Non è forse il compito e la stessa ragione di vita dello strumentista di fare da interprete dell’opera musicale e da tramite fra questa e il pubblico? Se proviamo a contare quanti sono gli interpreti che sanno rivolgersi al pubblico in maniera convincente ed avvincente, dobbiamo riconoscere che le sorti della chitarra da concerto e della sua letteratura sono affidate a ben poche mani. Occorre porsi seriamente, anche in ambito didattico, il problema di come andare oltre lo specchio tenendo nel dovuto conto i problemi della comunicazione  dell’opera musicale, che non sono meno importanti di quelli di una sua analisi formale o storica e possono giustificarne, in prima istanza, la stessa esecuzione.


[1] Non da oggi, ma almeno da un secolo viene riconosciuto a taluni concertisti di chitarra un certo sfrenato e  ridicolo esibizionismo. Un numero della rivista La Chitarra del 1939 riporta il seguente gustoso articolo di un tal  E.P. dal titolo  “Smorfie musicali” apparso sul giornale Le France-Juge del 5 marzo 1835: “Andiamo, proseguiamo, emozioni sopra emozioni! Un chitarrista! Via il pianoforte! Largo al chitar­rista! Oh, eccolo! Egli saluta e sembra dire: “vi presento i miei rispetti; che i vostri cuori siano sempre come rosai fioriti”. Egli si siede; dopo una mez­z’ora impiegata per accordare lo strumento, fa sentire un suono armonico! “Fate altrettanto, signori! Impossibile. Un solo uomo ha potuto elevarsi fino al suono armonico, e questo uomo voi l’avete dinanzi agli occhi”. Guardatelo. La sua figura stupisce ad ogni gesto; ad ogni accordo alza la mano destra e la dirige con enfasi verso gli Spettatori con l’aria di dire:”A voi io offro queste leggere improvvisazioni; andate, uditori benevoli, possiate risentir­le nei vostri sogni!” L’ultimo arpeggio è finito ed il nostro supplizio pure”.

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