Maupassant

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Guy de MaupassantSe la letteratura musicale chitarristica ha un pregio, tanto più apprezzabile ai giorni nostri caratterizzati dalla fretta convulsa e stressante, è la quasi generalizzata brevità delle composizioni. Ritenere che la qualità di un’opera musicale sia proporzionale alla sua dimensione e che sulla base di questa, generata da più o meno geniali elaborazioni di un tema, vada giudicata la statura artistica del compositore, è idea assurda e mistificante.

Le Sonate più o meno ponderose scritte per chitarra, non sono per lo più che mal riusciti tentativi di emulazione e di sfida volti a dimostrare, al prezzo di acrobatici marchingegni compositivi, che si è capaci di comprimere una forma di grande dimensione musicale entro il letto di Procuste della chitarra.

Passata l’epoca felice della Suite, assai più congeniale alle poche corde tastate, le pagine della nostra musica per chitarra si sono andate configurando sempre più spesso come fogli d’album del genere più disparato.

Quando apprendo che lo scrittore francese più letto nel mondo è il Maupassant delle 310 novelle, mi chiedo quale sia il pregio che consente a dei brevi e brevissimi racconti di avere la meglio su opere imponenti e titaniche come quelle di Hugo, di Balzac, di Zola, di Tolstoi o di Bacchelli.

Ma basta poco per rendersi conto che esse sono il prodotto di una feconda immaginazione, di un delicato senso poetico, di una profonda conoscenza dell’animo umano e di un occhio attento sul mondo osservato con un vivo senso del ridicolo e una pietosa o amara ironia. Il tutto esposto con una maestria linguistica fatta di poche parole, facili e brevi come pennellate di acquerello.

Ora, i nostri fogli d’album, creati da compositori di talento, hanno gli stessi pregi delle novelle e, per narrarle, occorrono esecutori di talento.  E il talento per narrare con arte gustosa e convincente un Preludio, una Berceuse, una Tonadilla, una Serenata, un Capriccio o una Rêverie non più lunghi di una o due pagine, è situato ben più a monte della pura e semplice tecnica strumentale. Anche in questo caso, tutto deve prendere avvio da immaginazione, senso poetico e profonda cultura dei sentimenti.

Il compositore che crea un’opera musicale è come l’ingegnere che, per progettare un ottovolante, deve innanzitutto cercare di immaginare e vivere virtualmente i brividi e le emozioni che intende far provare a chi effettuerà il percorso e, in base a questi, disegnare le curve e le pendenze più opportune. Sta a noi saperci disporre, di fronte all’ottovolante come semplici spettatori che seguono le evoluzioni del carrello o come attori, salendovi noi stessi. Nel primo caso, il moto variamente accelerato di salita e discesa, unitamente allo strepito delle persone a bordo, ci procurerebbe un’indubbia emozione ma, nel secondo caso, ci troveremmo a vivere nell’opera stessa, ripercorrendo fisicamente ed emotivamente il tracciato immaginato dal progettista.

In modo analogo, il primo passo da compiere per “entrare” nella pagina scritta, è quello di immettersi nello spirito dell’opera cercando di scoprire il progetto formale ideato dal compositore e tradurre in musica il suo vissuto emotivo. Solo in un secondo tempo entra in ballo la tecnica strumentale nelle due sue componenti, meccanica ed espressiva, come apparato essenziale per la comunicazione dell’opera a chi ascolta.

Qualcuno si stupirà che queste considerazioni vengano dalla penna di uno che è stato spesso malignamente accusato di arido tecnicismo ma, se siamo sempre stati convinti che senza una buona tecnica non si può fare della buona musica, abbiamo sempre sostenuto, d’altro canto, che la buona tecnica, da sola, non basta. Ne fanno fede i tanti noiosi dischi registrati a tempo di metronomo (ma, a proposito, che rapporto ci potrebbe essere tra un metronomo e un ottovolante ?).