E’ plausibile che Tárrega possa aver detto:
“La chitarra nelle mani di un Inglese è quasi una bestemmia”?
Certamente sì quando si consideri il contesto storico in cui la frase venne forse pronunciata.
Tárrega, figlio del suo tempo, viveva in un mondo musicale sul quale la luce dorata di un romanticismo al tramonto andava stemperandosi dolcemente in quella del nascente Novecento. Il suo appassionato interesse non era volto soltanto al versante classico rappresentato da Haydn, Mozart e Beethoven, ma anche e soprattutto a quello romantico del sentimento, degli affetti, della fantasia, della sensibilità e delle passioni, sicché la sua chitarra cantava di Schubert, Schumann, Mendelssohn, Chopin, Albéniz, Granados e Verdi.
Se si è mai sentito parlare di un romanticismo musicale inglese, va ricordato che esso non può fregiarsi che di tre soli nomi di rilievo: Parry, Stanford e Elgar, nati nel periodo decadentista e orientati per lo più all’esperienza tedesca. Parry subì le influenze di Brahms, Stanford era più attratto dalla melodicità di Schumann; Elgar era invece più vicino a Wagner. Potremmo quasi dire, maliziosamente, che un’isola come la Gran Bretagna, avvezza alle importazioni delle merci più disparate, abbia preferito fin dall’epoca barocca, importare anche la musica!
E’ comprensibile che in tale situazione Tárrega potesse dubitare che un chitarrista inglese dotato di un così esangue spirito romantico fosse in grado di comprenderlo e di comunicarlo in tutta la sua pienezza. In effetti, il merito di insinuare nel cuore e nella mente del giovanissimo Julian Bream il vivace colorito della chitarra romantica si deve alla semplice “trasfusione” operata da un pezzo come Recuerdos de la Alhambra suonato da Segovia in un disco ricevuto in regalo dal padre.
Il ragazzo non poté sottrarsi fascino dell’accattivante repertorio di stampo ispanico fino a quando, complici i soci della Philharmonic Society of Guitarists, non cominciò a profilarsi l’idea dell’opportunità di dar vita ad un repertorio prettamente inglese.
Nell’arco di trent’anni, un numero considerevole di compositori affascinati dallo straordinario e precoce talento del fenomeno Julian Bream seppe in effetti dare un concreto ed importante contributo. Dunque non più solo Albéniz, Granados, Torroba, Turina e De Falla, ma anche Arnold, Berkley, Walton, Dodgson e Britten: esattamente come era avvenuto per Segovia ma, a questo punto, qualsiasi parallelo fra le vite dei due massimi Maestri della chitarra novecentesca si dissolve.
Se al Maestro spagnolo va riconosciuto il titolo di primo e indiscusso “inventore” della chitarra moderna, al più giovane Maestro inglese spetta quello di ardito “esploratore” che, spaziando senza limiti di tempo tra la vasta e lontana landa dell’antica nobiltà delle corde pizzicate sul liuto e sulla vihuela, giunge fino alle soglie del futuro orizzonte delle sei corde. Non si può tuttavia parlare di lui come di un semplice musicologo da biblioteca poiché Julian Bream la musicologia la fa rivivere con una concreta attività strumentale che riporta alla vita dei suoni quattro secoli di pagine musicali. Non v’è autore antico, classico romantico o moderno né forma solistica, cameristica o concertistica che non siano passati sotto le mani di questo straordinario chitarrista.
Dotato di un eccezionale genio musicale e di un talento strumentale estremamente duttile, Julian Bream realizza delle esecuzioni che oltre a risultare tecnicamente perfette sono sempre straordinariamente vive, si tratti di una semplice canzone o di una Grande Ouverture. Se l’estetica segoviana non era minimamente incline al genere virtuosistico (come mostra l’evidente disinteresse per le opere di Giuliani, Paganini, Aguado e per gli Studi di Villa-Lobos), Bream lo accoglie con entusiasmo tra i molteplici “volets” del suo repertorio, praticandolo con un lucido ed immaginifico fraseggio nel quale il serrato dialogo fra lo staccato ed il legato, il mutevole spessore del gioco dinamico e la spazialità del gioco timbrico giungono talvolta a generare in chi ascolta impressioni sonore e visive di tipo tridimensionale.
Guardare a questo sommo artista che è Julian Bream con la più grande ammirazione non è solo lecito ma doveroso per chiunque ami la chitarra. Non si può rimpiangere che non abbia mai voluto insegnare: la sua vita dagli esordi difficili, è tutt’ora un’unica grande lezione per chi voglia capire che solo con lo studio e la tenacia si possano attingere le vette che a ciascuno è concesso attingere e oltre le quali non rimane che la consolazione di un infinito piacere di ascoltare.
M.S.