Angelo Barricelli: Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
Mauro Storti: La domanda è molto intrigante. Strawinski ha ragione: le dita sono delle grandi ispiratrici, ma ovviamente bisogna saperle muovere, cosa che richiede lunghi anni di studio e un’ottima conoscenza della letteratura chitarristica se è vero che, in realtà, l’improvvisazione si muove ripercorrendo stilemi compositivi profondamente assimilati.
Un mio ex allievo milanese, Daniele Russo, è un abilissimo improvvisatore, al punto da proporre récitals interamente improvvisati su richieste del pubblico. Gli potete chiedere un Francesco da Milano, un Tárrega, un Ponce o un Villa-Lobos e lui ve lo improvvisa lì per lì, in maniera assolutamente convincente. Rimane però da chiedersi, con tutta l’ammirazione per una tale straordinaria abilità, se non sia preferibile, in definitiva, ascoltare un pezzo originale di questi autori piuttosto che una pur ottima imitazione.
Altro significato può avere improvvisare per se stessi, abbandonandosi per puro gusto ad un momento di estro creativo o di semplice rêverie, oppure improvvisare per accompagnare in maniera estemporanea azioni sceniche o declamazioni poetiche, cosa che richiede comunque un’ottima padronanza dello strumento.
Da punto di vista didattico trovo estremamente utile che i bambini si divertano ad improvvisare utilizzando la chitarra preparata che si presta ottimamente a tal fine ancor prima che essi possiedano una tecnica adeguata all’uso proprio dello strumento.

La chitarra preparata
Angelo Barricelli: Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?
Mauro Storti: La situazione è molto complicata perché da un lato non si può arrestare un progresso tecnologico che mette a rischio la creatività degli autori e la costosa e benemerita attività editoriale, dall’altro si assiste ad un decadimento del gusto in quella parte del pubblico “di bocca buona” che si accontenta di prodotti di bassa qualità. Fortunatamente, esiste anche una parte di pubblico più esigente che sa attribuire il giusto valore alle opere originali e ama possedere un’opera a stampa, un CD o, meglio ancora, un vinile dell’ artista preferito.
Angelo Barricelli: Ci elenchi cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con sè.. i classici cinque dischi per l’isola deserta …
Come appassionato chitarrista, senza dubbio tre incisioni segoviane: un LP antologico composto da opere di Tárrega e di Sor; la terza Suite per violoncello trascritta per chitarra da John Duarte e il primo Concerto di Castelnuovo-Tedesco. Come incondizionato ammiratore della Callas, la sua Carmen e, per finire, la III Sinfonia di Beethoven diretta da Otto Klemperer.
Angelo Barricelli: Quali sono invece per lei i cinque spartiti indispensabili?
Mauro Storti: La Ciaccona di Bach in qualsiasi versione solistica, da quella “compressa” per violino alla monumentale Busoni; la Sonata “Omaggio a Boccherini” di Castelnuovo-Tedesco. Le Variazioni sulla “Follia” di Ponce; la “Sonatina” di Torroba e il “Nocturnal” di Britten-Bream.
Angelo Barricelli: Di recente su alcuni forum dedicati alla chitarra classica si è parlato di alcune sue incisioni discografiche realizzate negli anni ’70. Essendo uno dei fortunati mortali che ne custodisce gelosamente una copia in formato digitale, volevo chiederle se è prevista una ristampa in formato cd delle sue musiche e volevo chiederle di raccontarci qualcosa di più su questi dischi … come sono nati, come si sono svolte le registrazioni, come è stato scelto il repertorio?
Devo dire che mi è giunto del tutto inatteso l’interesse per queste due mie incisioni che conservo come ricordo di un tempo in cui tutto il mio pensiero e la mia azione erano volti a scoprire nuove vie per conquistare il dominio dello strumento. In effetti, non ho mai coltivato l’idea ambiziosa di giungere alle vette del concertismo internazionale, riservate a pochi eletti ma, convinto che ogni nuova ideazione metodologica andasse sottoposta a verifica, ho ritenuto che nulla fosse più probante che il récital di fronte al pubblico. Oggi, alla luce delle mie numerose pubblicazioni didattiche, non mi sembra disdicevole consentire che queste testimonianze sul loro valore vengano riproposte a quanti non hanno mai avuto l’occasione di ascoltarmi.
Il contratto del primo LP Bentler 3011, è datato 1° aprile 1970 e l’incisione fu effettuata con un registratore Grundig in diretta, ossia senza tagli. Ricordo una bella recensione apparsa sulla Domenica del Corriere il 4 febbraio del 1971 a firma di Vittorio Franchini che parlava di “solista egregio e interprete dal fresco virtuosismo”.
Il secondo LP Podium 1051, mi fu commissionato da un editore che aveva visto in un negozio Ricordi la locandina della stagione concertistica del Comune di Sesto San Giovanni del 1972 nella quale il mio nome figurava insieme a quelli ben più noti di Severino Gazzelloni, Bruno Canino e Claudio Desderi.
L’incisione, realizzata con mezzi più professionali in un vero studio di registrazione, risale dunque a quella data, come pure il repertorio, che risente ancora ovviamente della forte influenza Segoviana. Ci tengo a chiarire che l’inserimento dell’allora già datato “Giochi proibiti” è da attribuire all’insistente richiesta avanzata all’ultimo istante di registrazione dal committente, richiesta alla quale non potei fare a meno di accondiscendere in segno di gratitudine per il suo investimento economico. Oltre tutto, sono convinto ancor oggi che a quel seggestivo brano, dilagante giorno e notte sulle onde della radio intorno agli anni ’50, vada riconosciuto il merito di avere svelato al mondo il fascino della chitarra classica, strumento a quell’epoca pressochè sconosciuto al grande pubblico italiano.
Con un accurato restauro e mastering del bravissimo Marco Taio, i due LP sono di recente confluiti in un unico CD che verrà prossimamente inserito nel catalogo della Casa Muiscale Eco.
Angelo Barricelli: Lei è un didatta importante, uno Scienziato delle 6 corde; può fare una sintesi ( se possibile) della sua Scuola di Chitarra in particolare delle opere a questa dedicate?
Mauro Storti: Il Trattato di chitarra, L’arte della mano destra, Il dominio delle corde, svariate raccolte di arpeggi sviluppati con il progredire della tecnica meccanica e tanti testi scritti in tanti anni…….Libri dedicati addirittura alla didattica per i bambini dai 5 agli 8 anni…, raccolte di studi dell’ottocento editi da Carish etc.etc…
La definizione di Scienziato delle 6 corde mi lusinga ma coglie solo in parte il contributo che mi sono sforzato di dare alla didattica chitarristica. In effetti, non mi ritengo un semplice ricercatore ma un artista-ricercatore che senza dimenticare che sopra tutto e prima di tutto viene la musica, è mosso dal bisogno di “comprendere di quali materiali è fatto il mondo dell’arte sua”. Analizzare la tecnica strumentale nei minimi dettagli senza porla in relazione diretta con la musica, non avrebbe alcun senso, come non avrebbe alcun senso analizzare o raccontare una pagina musicale senza metterla in rapporto con la tecnica strumentale.
Non è concepibile che in un trattato di tecnica chitarristica di cento pagine non figuri una sola nota di musica e vengano mostrate con disegni o fotografie mani e dita in pose pietrificate quando invece la musica è movimento e dunque vita e, come dice bene Walter Howard “Su un tavolo anatomico non è mai nata una vita!”.
V’è poi da considerare un aspetto fondamentale della ricerca tecnico-artistica: la sperimentazione. Solo sperimentando, prima su se stessi e poi sugli allievi, è possibile trarre delle conclusioni di qualche valore effettivo. Una seria e lunga sperimentazione può infatti rivelare l’utilità o l’inefficacia di un’idea, di un procedimento o di un esercizio. L’ulteriore e ineludibile verifica finale per il musicista-ricercatore consiste poi nell’esecuzione in pubblico che, sola vera prova del nove, può confermare o demolire la validità di una ricerca.
Come ho già accennato, la mia formazione scientifica mi è stata di grande aiuto nella ricerca dei nessi tra arte e tecnica, e su questo il pensiero ritorna a Fernando Sor e alle pagine scientifiche del suo Trattato. A differenza di chi “volteggia” nelle alte sfere dell’arte sublime e immateriale o di chi, come baciato da un tocco divino, nasce artista quasi inconsapevole, lo scienziato-artista può disporre di strumenti intellettuali e materiali con i quali costruire un metodo di tecnica “artigianale” finalizzato alla formazione dell’interprete musicale.
Questo credo essere il mio caso personale. La grande passione per la musica e per la chitarra, l’attenzione analitica volta ai vari aspetti della tecnica strumentale sia meccanica che espressiva, il bisogno di comprendere la causa e la natura degli ostacoli per riuscire a superarli e il desiderio di spianare la strada agli allievi (ne ho portati al diploma ben 65!) mi hanno consentito di creare, con il passare degli anni, quello che ritengo il primo metodo graduale e completo per lo studio della chitarra.
Quanto all’utilizzazione della chitarra per la propedeutica musicale nella fascia d’età dai 5 agli 8 anni, occorre ricordare che nessuno dei grandi padri della didattica, da Orff a Willems, da Dalcroze a Kodály, ha mai preso in considerazione questo strumento assai diffuso e dotato di preziose risorse melodiche, armoniche e timbriche, ma indubbiamente difficile da accordare e da suonare con le piccole mani dei bambini. Con l’invenzione dei ponticelli mobili ho potuto aggirare tali ostacoli e aprire nuove prospettive per il suo utilizzo fin dall’età infantile.
Angelo Barricelli: A questo punto parliamo dei singoli testi del M° Storti cominciando da “L’Arte della mano destra” dall’editore Carisch nel 1977 con il prezioso commento dell’autore che ancora una volta si dimostra disponibile con il nostro blog. L’intento è far conoscere ai nostri gentili lettori non solo l’utilità di tale opera (anche se è molto chiara fin dal titolo), ma le motivazioni per cui è stata scritta; mi permetto di dire che è tra le mie preferite perché aiuta i chitarristi ad affrontare subito il problema legato al tocco e alla dinamica, all’azione delle dita (contiene disegni molto chiari relativamente ai vari tipi di tocco e informazioni riguardanti perfino la sagomatura delle unghie e come rafforzarle (fuori dai soliti luoghi comuni). Ci sono inoltre esercizi sullo staccato, sul tremolo, sulla dinamica, etc… Unico nel suo genere è un libro indispensabile per chi vuole “toccare” con arte le corde. Un testo che, studiato con passione, mette in condizione chiunque di suonare bene, amatori compresi.
La parola al lei Maestro:
Mauro Storti: Quando ho raccontato delle mie vicissitudini di autodidatta, ho detto delle perplessità sorte in me dal constatare la quasi assoluta mancanza di informazioni relativamente alla mano destra. In effetti scorrendo i metodi ottocenteschi è facile rendersi conto che l’argomento è totalmente eluso. Tutto ciò che veniva allora richiesto alla mano destra era di saper arpeggiare e alternare due dita per eseguire brevi tratti melodici scoperti. Se, d’altro canto, si vanno ad osservare gli esercizi di arpeggio dei metodo ottocenteschi, si può notare che l’azione delle dita interessava unicamente la figura stretta ima sulle prime corde con una variabile dislocazione del pollice. Se si prendono in considerazione i 120 arpeggi dell’Op.1 di Giuliani si può notare che tutti seguono questo schema ma che, soprattutto, essi non hanno altra funzione che accompagnare un’inesistente melodia sovrastante. Tutto ciò che si richiedeva all’esecutore di tali arpeggi era la regolarità di scansione e l’uniformità del flusso armonico prodotto, tanto nel piano o nel forte, che nel crescendo o nel diminuendo. Ciò era ovviamente da ritenersi una tecnica pienamente rispondente alle esigenze della letteratura musicale di allora, basata quasi esclusivamente su strutture composte formate da melodie accompagnate con accordi o arpeggi.
Con l’avvento di Tárrega fa la sua comparsa il concetto che ognuna delle sei corde ha una propria potenzialità timbrica e dinamica e ciò si rivela estremamente utile per conferire alle diverse voci di strutture complesse, come quelle contrappuntistiche, livelli dinamici e rilievi timbrici ben differenziati.
Oltre a richiedere fondamentali modifiche nelle diteggiature della mano sinistra, la letteratura tarreghiana e post-tarreghiana esige dalla mano destra nuove e più delicate modalità di attacco delle corde, modalità che seppure applicate in ambito concertistico dai migliori interpreti della letteratura chitarristica moderna, da Segovia a Llobet, da Pujol a Ida Presti, in ambito didattico non sono mai state chiaramente enunciate né tanto meno analizzate. Queste nuove modalità di tocco differenziato sono l’oggetto delle due prime parti del testo L’arte della mano destra.
Nella prima parte, di carattere introduttivo, vengono esaminate le varie modalità di attacco possibili per giungere a determinare la disposizione ottimale della mano e delle dita in vista delle prestazioni dinamiche e timbriche che le saranno richieste. Oltre a porre in evidenza la fondamentale distinzione fra tocchi di spinta e tocchi di trazione, viene introdotto e definito per la prima volta un nuovo tipo di attacco: il tocco teso.
Le Lezioni che seguono, fino alla VI, consentono allo studente di dare una reale consistenza musicale agli assunti teorici precedenti mediante la pratica viva su brevi frasi musicali nelle quali l’impiego differenziato dei tre tipi di tocco viene impiegato, con grande effetto, per far emergere d un contesto polifonico, una melodia disposta di volta in volta su singole corde.
Nella Lezione VII, di particolare originalità e utilità si persegue lo stesso scopo ma, a differenza delle Lezioni precedenti, il contesto armonico che accompagna la melodia è di tipo accordale e, se il compito di far emergere la melodia si fa dei più delicati, il risultato che ne consegue può essere di grande efficacia, soprattutto nella musica contrappuntistica.
La Lezione IX che tratta dell’esecuzione simultanea di due o tre bassi, è di grande interesse generale, ma si potrebbe dire indispensabile per capire e praticare una tecnica spesso utilizzata da Villa-Lobos nei suoi Studi e Preludi.
Sulle modalità di azione del pollice consiglio di leggere anche, per maggiori chiarimenti, le pagine 135 e 136 dell’ultimo mio lavoro Scuola della chitarra.
Tema della Lezione XI è lo studio della tecnica dello smorzato, paragonabile per utilità e rilevanza, alla pratica del pedale pianistico. L’accresciuta sonorità delle odierne chitarre e le esigenze di “pulizia” in sede di registrazione discografica, richiedono un’estrema prontezza e precisione nell’effettuare le pause e le cesure presenti in una pagina musicale. Con lo studio accurato di pochi e piacevoli esercizi, lo studente giunge in poco tempo ad acquisire non solo il pieno possesso “meccanico” di questa tecnica, ma anche una raffinata sensibilità dell’orecchio nel percepire le sovrapposizioni sonore inopportune generate da suoni reali o armonici.
La Parte Quarta del lavoro tratta della forza e della velocità della mano destra e, in particolare del tremolo e della regolarità di scansione negli arpeggi. Sarebbe lungo spiegare qui il complesso ragionamento in base al quale ho ideato il procedimento di studio adottato per giungere all’acquisizione di un’eccellente tecnica del tremolo. Posso però affermare di avere raccolto più di un importante attestato sulla sua infallibile efficacia.
Quanto detto vale anche per lo studio sulla regolarità di scansione degli arpeggi, finalizzato all’acquisizione della tecnica del jeu perlé (esecuzione brillante). Fin dal primo approccio alla Lezione XV lo studente si rende conto con stupore di quanto possa essere labile il controllo temporale sull’azione delle dita e di quale utilità sia la pratica assidua degli esercizi proposti.
Con lo Studio sulla forza di pressione della mano destra della Lezione XVI, lo studente può giungere al pieno dominio dell’intera gamma dinamica dello strumento, dal pianissimo al fortissimo, ed imparare ad utilizzarla per conferire alla musica una terza dimensione, ossia quel rilievo plastico che tanti chitarristi sembrano non conoscere.
Non poteva ovviamente mancare, in un lavoro concernente il tocco, uno studio sulle unghie, tema che nel 1977, data di pubblicazione del libro, era ancora oscuro e controverso, come attesta l’unico trattatello allora circolante pubblicato da Emilio Pujol nel 1960 con il titolo significativo El dilema del sonido en la guitarra.
Dato ormai per universalmente adottato l’impiego delle unghie da parte dei più autorevoli concertisti, si trattava di spiegare con un’analisi scientifica il loro meccanismo di azione sulle corde e in base ad essa proporre ad ignari studenti che altro non sapevano cavare che suoni orribili, le scelte più funzionali quanto a lunghezza, sagomatura e modalità d’attacco, e dunque acusticamente migliori.
Occorre sottolineare, infine, che non esistevano allora i mezzi efficaci di oggi per indurire le unghie e non era facile procurarsi qualche smalto indurente del quale si sapeva l’esistenza in America o in Svizzera. Poteva dunque capitare, a chi avesse come me unghie poco resistenti, di seguire le suggestioni del Pujol e decidere di suonare senza unghie con risultati deplorevoli. Mi sembra di poter dire, da vero totale autodidatta, di averle provate proprio tutte!…