Il “Trattato di Chitarra” di Mauro Storti

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Articolo di Marco Pisoni

“Come ogni altro uomo, l’artista lavora partendo dalle sue conoscenze, con l’apporto della sua capacità di pensiero e del momento intuitivo, il suo lavoro è sottoposto a leggi e orientato al raggiungimento di uno scopo”. Così Wassily Kandisky, già nel 1928, prefigurava una integrazione che evitasse, per la cultura artistica, la storica e pericolosa oscillazione fra i limiti di una istruzione specialistica e la vacuità tutta spirituale del genio romantico.

   Un serio ed appunto integrato lavoro di ricerca sull’ esecuzione chitarristica non può che portare ad un trattato come questo di Mauro Storti, cioè ad un vero e proprio sistema che fondi, anche a livello fisiologico, l’interpretazione musicale chitarristica e che in ogni caso trascenda e completi la semplice tecnica.

   Il Trattato si configura così come una sorta di teoretica dell’interpretazione musicale, che comprende ma non si limita alla consistenza fisica dell’esecuzione materiale. Viene descritta una fisiologia più ampia e metaforica, che dalla mano si estende al pensiero produttivo, inteso come funzionalità organica e vitale dell’opera musicale, altrimenti relegata per sempre alla virtualità dello spartito.

   Poiché l’opera musicale è compiuta e autonoma solo se rivitalizzata dall’interpretazione, l’attività dell’interprete risulta non solo ineliminabile, il che appare ovvio, ma dotata di uno specifico artistico integrativo e complementare all’attività del compositore, che si traduce operativamente in movimento tecnico, un movimento incardinato anche etimologicamente nella e-mozione e nella com-mozione, una ritrovata tékhne greca in cui si armonizzano nuovamente arte ispirata e solido artigianato, una tecnica quindi pregnante e non riduttiva, che inevitabilmen­te assume forma e stile di un sistema coordinato alle intuizioni creative.

In fondo la comunicazione musicale è dinamica per elezione: dotata di infinite e cangianti gradazioni e combinazioni, generata fisicamente da vibrazioni, meccanicamente risultante di movimenti fisici che si svolgono nel tempo, è soprattutto e-motiva ed e-mozionale.

Non a caso definiamo in questo senso la comunicazione musicale. A ben vedere infatti, il campo di indagine del lungo tirocinio professionale di Mauro Storti è eminentemente e in senso lato semiologico: responsabilmente il Trattato, frutto di un impressionante sforzo ricognitivo, esclude pretenziose ricerche sul significato dei fenomeni, per occuparsi delle naturali e funzionali leggi di sviluppo, di permanenza e di interrelazione fra le parti del linguaggio musicale chitarristico, alla ricerca di una coerente grammatica. Il fonema, il lessico, la morfologia e la sintassi strumentale, indipendentemente dalle variabili storiche e stilistiche, vengono intesi qui come convenzioni ineliminabili per la compiutezza ed il senso immediato della comunicazione musicale, la quale, a differenza delle belle arti, necessariamente ha bisogno di un tempo determinato, e quindi di un piano preordinato, per inverarsi senza surrogati.

   L’unità musicale così compiuta, comprensiva dei due processi comunicativi complemen­tari, la stesura della partitura e l’esecuzione, non è quindi la somma di elementari gesti tecnici, dalla decodificazione della notazione alla diteggiatura, bensì la padronanza estremamente versatile del materiale e dei mezzi a disposizione di una ricca e sensibile cultura musicale, capace di appropriarsi di una manualità sapiente per offrire spettacolarmente, in ordine allo specifico artistico, infinite repliche di eventi unici ed irripetibili.

   Il solo metodo analitico, nell’insegnare e nel fare musica, rischierebbe di perseguire un obbiettivo in realtà secondario: la ricerca degli elementi primari dell’ attività esecutiva, per una loro corretta ma atomistica riproduzione.

   Il Trattato fuga ogni dubbio a questo proposito: offre certamente un percorso formativo e strumenti di coscienza autocritica al chitarrista e al didatta, ma cerca in effetti una sintesi conclusiva e unitaria, nel senso di una elaborazione dei legami funzionali fra le parti del discorso musicale e il margine di libertà interpretativa assegnato dalla tradizione al chitarrista.

   Il sistema stortiano, correttamente impostato, non esclude certo lo Spirito per abbando­narsi alla pura e in fondo sterile analisi, ma sposta l’indagine in campo fenomenologico, “ingenuo” perché privo di preclusioni e non corrotto da esperienze e frequentazioni precedenti: è questo il senso autentico, ad esempio, della modularità, non atonale in sé, bensì al di fuori di stereotipi linguistici e strumento funzionale al repertorio tonale, come a quello seriale o atonale, indifferentemente.

Ma poiché non è ipotizzabile per l’Autore, né per qualsiasi musicista, la capacità e la volontà di far tabula rasa del proprio bagaglio culturale, ecco che le esplicite citazioni musicali e gli impliciti rimandi autobiografici risultano i più vari ed eclettici possibili, fino al punto discriminante della grande scelta.

La maturità critica del Trattato, paradossalmente inconsapevole allo stesso autore, consiste nella determinazione di un ordine naturale della esecuzione strumentale, senza forzature o imposizioni, che rende finalmente chiaro, limpido e omogeneo il patrimonio genetico del chitarristica contemporaneo.

 Marco Pisoni

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