FONDAMENTI DEL NUOVO METODO ANALITICO-STRUTTURALE
PER CHITARRA CLASSICA
Tutte le azioni creative fanno capo ad una finalità per la cui realizzazione è necessario il ricorso a più o meno complicati strumenti. Uno strumento per creare musica, ossia un “oggetto” di genere quanto mai immateriale, non può evidentemente essere semplice come può esserlo una penna per scrivere, una chiave per aprire una porta o un paio di forbici per tagliare un tessuto. Per dar vita ai suoni e strutturarli variamente, dalla più semplice linea melodica alle più complesse combinazioni armoniche e contrappuntistiche, occorrono al musicista tre strumenti all’apparenza semplici ma molto difficili da gestire in maniera funzionale e coordinata: una chitarra e due mani.
Per conoscere tutte le potenziali prestazioni musicali della chitarra può essere sufficiente un’analisi organologica approfondita, così come un’approfondita analisi anatomica può bastare per conoscere a fondo le potenziali prestazioni delle due mani, ma molto più intrigante risulta effettuare un’analisi esaustiva del complesso gioco di interazione fra i tre strumenti quando si vogliano individuare le modalità di azione più efficaci dal punto di vista gestuale e meno dispendiose dal punto di vista energetico, da porre a fondamento della cosiddetta tecnica strumentale.
Si ritiene generalmente che trattamenti di tipo psicanalitico possano aiutare a risolvere i problemi del rapporto mai facile con lo strumento chitarra ma, pur essendo questi di innegabile utilità per creare un sano equilibrio psicofisico, non possono che essere di scarsa efficacia per instaurare un rapporto armonico e funzionale tra la persona e un qualsiasi altro strumento extracorporeo come una grattugia, una bicicletta o…una chitarra.
In effetti, basta riflettere che può risultare quanto mai spontaneo per chiunque mettersi a cantare una canzone senza avere coscienza del complesso meccanismo di fonazione posto in gioco (dalla vibrazione delle corde vocali alla loro mutevole tensione per variare l’altezza dei suoni, alle modificazioni della cavità orale con le conseguenti variazioni del colore delle vocali ecc.), ma risulterebbe ben più difficile effettuarne un’esecuzione chitarristica senza disporre di una minima padronanza delle sei corde. Nel primo caso si tratta infatti di un utilizzo inconsapevole del corpo come naturale strumento sonoro; nel secondo caso sarebbe indispensabile il ricorso all’uso sapiente e coordinato delle due mani per trarre da uno strumento come la chitarra, caratterizzato peraltro da una fissità strutturale pressoché assoluta, tutta la sua potenzialità generatrice di musica viva.
Il raggiungimento di tanta straordinaria abilità sarebbe la vera finalità di ciò che si suole definire Metodo Strumentale, ma occorre intendersi sul significato di questa parola, a partire da un concetto basilare messo a fuoco in maniera oltremodo lucida da un grande pensatore come il filosofo Alain.
“Poiché con ogni evidenza l’ispirazione non può costruire nulla senza la materia, occorre all’artista qualche oggetto primario sul quale esercitare inizialmente la sua idea come, ad esempio, le pietre per l’architetto, un blocco di marmo per lo scultore, una tela per il pittore. E’ pertanto impensabile ritenere che qualche bell’oggetto sia mai stato creato al di fuori dell’azione. In poche parole, la legge suprema dell’invenzione umana è che non si inventa che lavorando da buoni artigiani!”
L’idea che il suono sia l’oggetto primario sul quale un buon artigiano musicale deve esercitarsi per concretizzare le proprie idee, si attaglia pienamente tanto alla figura del compositore, obbligato a servirsi quanto meno di una penna e di un foglio di carta, che a quella dell’interprete, obbligato a servirsi di uno strumento musicale per tradurre la pagina scritta in effettiva realtà sonora. E’ pertanto compito dell’aspirante strumentista addestrare le due mani da fino a metterle in grado di eseguire con la più rapida immediatezza i più diversi arabeschi musicali collocando senza la benché minima esitazione le dita sulle corde e sui tasti.[1]
Definizione di “Metodo”
Per illustrare i caratteri di un vero processo metodologico sarebbe estremamente utile fare una approfondita analisi di due noti e consolidati metodi didattici per la danza e per il violino ai quali si può qui solo accennare brevemente.
Partendo da un catalogo dettagliato delle posizioni basilari (oltre 200 passi di danza e un numero impressionante di figure relative alle posizioni dei piedi, delle braccia e del corpo) la celebre danzatrice russa Agrippina Vaganova (1879-1951) ha elaborato uno tra i più noti metodi di danza classica suddiviso in otto corsi di studio ordinati in un crescendo di difficoltà tecniche e di complessità compositive in grado di assicurare agli allievi un progresso privo di rischi e adatto a sviluppare armoniosamente tutte le parti dello strumento-corpo, fino a conseguire il risultato finale di una tecnica impeccabile insieme ad una notevole espressività.
Un altro metodo, non meno famoso, è quello per lo studio del violino di Otakar Ševčík (1852-1934) frutto anch’esso di un’analisi accurata del gesto strumentale concretizzatasi in una raccolta di ben quattromila esercizi sistematici ordinati in maniera progressiva, senza salti né lacune e concernenti in particolare i cambi di posizione, le doppie corde e oltre 2000 diversi colpi d’arco.
Per venire alla chitarra, l’unico e solo metodo mai concepito in maniera similare è quello pubblicato nel 1843 da Dionisio Aguado. Esso contiene tutti i concetti fondamentali della tecnica chitarristica ottocentesca illustrati con una notevole mole di esercizi relativi a scale, arpeggi, combinazioni per terze, seste, ottave e decime, salti di posizione, legature e un catalogo di numerosi e inconsueti effetti timbrici. [2]
Dalla metà dell’800 in poi la didattica chitarristica rimane inerte, vincolata per un secolo ai vetusti schemi classici nonostante le importanti evoluzioni intervenute nel linguaggio musicale, dal post-romanticismo al neoclassicismo e alla dodecafonia, e sembra rianimarsi con la comparsa della Escuela razonada de la guitarra di Emilio Pujol, un imponente lavoro creato nell’arco di tempo tra il 1934 e il 1971, ispirato in massima parte al Metodo di Aguado ma non del tutto privo di modalità tecniche inusitate.
Il Maestro Andrés Segovia (1893-1987) pur riconoscendo l’eccellenza del Metodo di Aguado (al quale però rimproverava il difetto di essere “una raccolta di studi disorganica e senza una logica progressiva,utile solamente a chi non avesse bisogno di lezioni elementari”) [3], sembrò ignorare il Metodo di Pujol, denunciando con rammarico, nel 1953, che ancora non fosse stato composto“alcun metodo sistematico e progressivo adatto a guidare il diligente studente di chitarra dai primi timorosi passi fino alle altezze della perfezione, [sicché] una parte considerevole dell’insegnamento della chitarra non era stata [fino allora] che opera precaria di dilettanti, adatta soltanto ad esercitare il magistero nei suburbi musicali…”. [4]
Purtroppo si deve constatare che ad oggi (a.d. 2018) la situazione non è cambiata: nei numerosi presunti Metodi anche più recenti, è dato riscontrare un’impronta decisamente involutiva. In un’ottica progettuale limitata per lo più ai primissimi anni di studio gli autori sembrano ignorare le innovazioni tecniche intervenute da Tárrega in poi, limitandosi a proporre ai loro allievi semplici assemblaggi di pagine su pagine di scale e arpeggi tratte di sana pianta dai testi ottocenteschi dei Carulli, dei Carcassi e dei Giuliani, avviandoli in tal modo lungo una strada piena di promesse che non potranno essere mantenute e disseminata di ostacoli imprevisti che li costringeranno, se il loro entusiasmo e la loro tenacia non saranno venuti meno, a rimettere in discussione acquisizioni tecniche già date per funzionali ma inadeguate alla pratica del nuovo e assai più impegnativo repertorio musicale novecentesco.
Il nuovo progetto didattico
Costruito “ in itinere ”, a partire dal 1966, e realizzato in un arco di tempo di oltre 50 anni dediti alla pratica concertistica e all’insegnamento, il cosiddetto “Metodo Storti” si compone di circa 20 testi di tecnica, fra i quali spiccano L’arte della mano destra, Il dominio delle corde e circa 50 lavori di carattere sia teorico, come il Trattato di chitarra, che pratico come il manuale Scuola della chitarra, nonché creazioni originali, come L’Ora di chitarra e revisioni del repertorio didattico e concertistico.
Le caratteristiche fondamentali del nuovo progetto sono tre:
1) una ininterrotta e lungimirante continuità del tracciato tecnico-metodologico, dai primi passi ai più alti livelli del concertismo.
2) l’introduzione di esercizi di tecnica meccanica atonale.
3) l’impiego di un vario e nutrito repertorio didattico finalizzato allo sviluppo graduale dell’arte interpretativa.
La nuova e originale concezione del “Metodo Storti” scaturisce da un’accurata disamina preliminare delle diverse strutture musicali praticabili sulla chitarra, e sulle diverse modalità della loro realizzazione pratica.
Fig.1 – Prospetto delle strutture musicali e delle rispettive categorie tecniche.
Il prospetto grafico di Fig.1 mostra l’impianto del Metodo suddiviso in tre Sezioni:
A) Elementi di ordine fisco;
B) Strutture musicali realizzabili con la chitarra;
C) Categorie tecniche occorrenti per la loro concreta realizzazione.
Quest’ultima sezione si configura come un vero e proprio menu metodologico articolato in sette punti: [5]
- Tecnica melodica: strutture lineari, arpeggi melodici e accordi spezzati.
- Tecnica armonica: accordi e arpeggi in forma stretta e lata.
- Tecnica contrappuntistica: strutture lineari sovrapposte.
- Tecnica della melodia accompagnata: melodia + armonia o contrappunto.
- Tecnica dinamica: gestione dell’intensità sonora.
- Tecnica timbrica: gestione della qualità del suono.
- Tecnica agogica: gestione del flusso temporale.
Il tracciato didattico
Come si può facilmente immaginare, non è cosa semplice tracciare un percorso didattico così dettagliato e di lungo respiro, ma se è imperativo iniziare da un solo e unico suono, come primo mattone dell’edificio musicale, occorre che questo sia disposto con la massima cura per non inficiare la solidità dell’intera costruzione.
E’ dunque imperativo che nel tracciato metodologico sia contemplatato l’esercizio pratico di tutte le sette categorie tecniche del menu per evitare l’insorgere nel tempo di gravi inefficienze.
Non potrà più pertanto ritenersi sufficiente la sola e consueta pratica delle scale e degli arpeggi insieme con pochi altri elementi tecnici come legature e barré ma occorrerà applicarsi ad un più impegnativo processo di acquisizione di moduli tecnico-musicali polifunzionali destinati all’utilizzo estemporaneo nei più svariati contesti musicali.
L’analisi funzionale
Poiché il fine ultimo di uno strumentista è quello di fare arte musicale, è necessario che parallelamente al processo di acquisizione della tecnica meccanica, egli possa seguire, praticando un adeguato repertorio musicale, un percorso di interpretazione che gli consenta di comprendere la funzione musicale che un dato modulo tecnico può assumere fra i tanti possibili e utilizzare, in base al contesto, i moduli della tecnica espressiva [6] più indicati
Per chiarire meglio cosa si intenda per analisi funzionale si prenda ad esempio il semplice arpeggio schematizzato in Fig.2.
Come si può osservare, la medesma formula meccanica può assumere, a seconda del tocco impiegato, ben quattro diverse funzioni musicali, come illustrato in Fig.3:
a) una struttura armonica arpeggiata di accompagnamento ad una melodia reale o virtuale eseguita da un altro strumento. [7]
b) una struttura combinata melodico- armonica.
c) un tratto melodico disposto su corde diverse.
d) una struttura contrappuntistica a tre voci.
Di conseguenza, si deve convenire che non è sufficiente che lo studente impari una generica tecnica meccanica dell’arpeggio (o di qualsiasi altro elemento tecnico) ma è necessario che egli sappia individuarne la peculiare funzione musicale e scegliere, di volta in volta, la modalità di più idonea per realizzare un’esecuzione che oltre ad essere appropriata, possa essere anche espressiva e comunicativa.
In base a quanto esposto circa la duplice natura strutturale e funzionale del “Metodo Storti” rimane da chiedersi se un progetto didattico analogo a quelli della danza e del violino basati sull’inventario di moduli tecnici basilari, posso valere anche per l’arte chitarristica. In effetti, effettuando la scomposizione in micro-cellule del continuum gestuale delle due mani si può creare un catalogo di moduli tecnici basilari che, per il loro carattere neutro, si prestano alla creazione delle più varie combinazioni strutturali melodiche, armoniche e contrappuntistiche con tutte le più opportune connotazioni dinamiche, agogiche e timbriche. [8]
Conclusione
Lunghi anni di pratica personale e di verifiche su un cospicuo numero di allievi giunti con successo al diploma conservatoriale e all’attività concertistica, hanno dimostrato che la pratica di esercizi modulari è in grado di assicurare un progresso rapido negli studi e tale da conferire il possesso di una tecnica completa, tanto meccanica che espressiva.
Va sottolineata, in particolare, la totale assenza di invalidanti danni psico-fisici poiché allo studente non è richiesto che un lieve e assolutamente fisiologico impegno muscolare da demandare in massima parte più che alla forza, all’intelligente sensibilità delle mani.
Considerazioni finali
Andrés Segovia ci ha lasciato in eredità non solo un ricco e prezioso repertorio di alto valore musicale ma anche l’impegnativa resposabilità di sostenere con la pratica viva e l’insegnamento la posizione ormai consolidata della chitarra fra i più qualificati e prestigiosi strumenti musicali. Purtroppo, ancor oggi egli non potrebbe che denunciare con rammarico la mancanza di un metodo sistematico e progressivo adatto a “guidare il diligente studente di chitarra dai primi timorosi passi fino alle altezze della perfezione”, e ciò a causa della riluttanza della gran parte degli insegnanti, in primis i docenti di Conservatorio, a ricercare modalità didattiche più moderne dell’aleatorio e poco impegnativo“fai come ho fatto io!”.
Occorre rendersi conto che tra la scuola plurisecolare ottocentesca e la scuola tarreghiana esiste un solco profondo che non può venire colmato procedendo senza alcuna lungimirante progettualità metodologica. In tal senso è illuminante il pensiero di un grande didatta del pianoforte come Raymond Thiberge:
“Il modo di prendere contatto col tasto [con le corde] domina tutti i problemi di virtuosismo trascendente e tutti i sottili problemi dell’estetica musicale. Il contatto iniziale non sarà dunque un contatto qualsiasi ma dovrà essere un contatto estremamente preciso, che non si contenterà di produrre una sonorità qualsiasi, o una velocità qualsiasi purché non vi siano note sbagliate. Fin dall’inizio la qualità sonora e la comodità del gesto dovranno condizionare la scelta dei mezzi tecnici. E’ nel momento in cui un aspirante professionista abborda gli studi trascendenti che può accorgersi se la sua tecnica è stata costruita su basi fisiologiche rigorosamente esatte. Per le composizioni di media difficoltà egli può ancora supplire agli errori di utilizzazione trasgredendo le leggi muscolari e articolari, ma negli studi che a causa della loro struttura tecnica o della velocità da attingere esigono un maggiore impegno, risulterà più difficile far fronte alle insufficienze tecniche”.[9]
L’intero edificio programmatico del nuovo metodo analitico- strutturale è suddiviso in otto corsi di studio i cui programmi sono consultabili nella guida pratica SCUOLA DELLA CHITARRA.[10] In essa sono esposti i criteri e le modalità da seguire per svolgere un programma di studio graduale lungo due direttrici parallele: tecnica e interpretazione; la prima intesa a fornire allo studente il pieno possesso dello strumento sotto l’aspetto meccanico e mentale; la seconda intesa a formare il gusto dell’esecutore per mezzo dello studio di opere appartenenti ad epoche e scuole diverse.
[1] “La tecnica propriamente musicale consiste nel danzare e nel mimare la musica per mezzo dello strumento” (G.Brelet, L’interprétation créatrice, P.U.F.).
[2] D.Aguado, Nuevo método para guitarra, Madrid 1843.
[3] A. Segovia: Prefazione alle Scale diatoniche maggiori e minori.
[4] A. Segovia: Prefazione ai 20 Studi di Sor.
[5]Tratto da M. Storti, Trattato di chitarra, Cap.2 (Volontè).
[6] Sul tema mai considerato in passato di una tecnica espressiva si veda: M.Storti, Trattato di chitarra, Parte Sesta.
[7] E’ questa la funzione propria dei 120 Arpeggi Op.1 di Mauro Giuliani la maggior parte dei quali, privi di qualsiasi connotazione melodica, dinamica, timbrica, temporale e agogica, e dunque privi di un qualsiasi senso musicale, si prestano ad un’esecuzione banale e puramente meccanica.
[8] Sui moduli e la loro classificazione: M. Storti, TRATTATO DI CHITARRA, Cap.136 e 137 (Volontè).
[9] Raymond Thiberge: Une nécessaire révolution pédagogique dans l’enseignement musical: LE PIANISTE,
sa technique manuelle, sa technique cérébrale (Divert-Thiberge, 1967)
[10] M. Storti, SCUOLA DELLA CHITARRA, progetto didattico completo e ragionato per la formazione tecnica e musicale (Volontè).