Mentre aspetto l’arrivo di un treno nel sotterraneo della Metropolitana Milanese sento sgorgare, da un altoparlante di quelli messi lì a diffondere la “Musica in Metrò”, le note di Giochi proibiti provenienti da chissà quale lontano recesso e suonate con trasporto da un ignoto citaredo. Dico con trasporto perché solo un interprete permeato fino al midollo di sentimento avrebbe potuto sentire il bisogno impellente di effettuare tanti rubati. Tradotta sulla carta, la sua esecuzione è più o meno questa:
Non mi è dato sentire più di una decina di battute per l’arrivo del treno che con il suo “trasporto” assordante e fracassone travolge ogni cosa: musica, chitarra, chitarrista e … buone intenzioni, se mai ci furono, dall’assessorato milanese alla cultura.
Cionondimeno, un cruccio, da qualche tempo assopito, si è prepotentemente risvegliato: perché tanti chitarristi, quando decidono di non voler suonare come macchine per cucire ma con sentimento e fantasia, si abbandonano ad una assurda libertà dinamica, agogica e timbrica mostrando di ignorare che effetti come un ritenuto, un crescendo, un accelerando, un ritardando,un diminuendo, un pianissimo, un fortissimo, un timbro metallico o morbido non si possono fare senza una logica motivazione e un preciso dosaggio?
Quale cuoco avveduto getterebbe nel calderone, alla rinfusa e senza dosarle, le più disparate spezie convinto di preparare, mi si perdoni il paragone, un eccellente minestrone? Anche in musica ogni effetto presuppone una causa, ed effetti diversi non possono risultare che da cause diverse. La volontà di esprimere qualcosa non può essere essa sola la causa di tanti e diversi effetti come quelli che abbiamo elencato; essa non è che una prima essenziale determinazione di fondo che esige delle scelte.
L’interprete può decidere di suonare Giochi proibiti perfettamente a Tempo “perché il Tempo è sovrano e va rispettato” (prima motivazione), oppure di suonare Giochi proibiti con assoluta libertà “perché non è un semplice esercizio meccanico ma un brano musicale ricco di contenuto affettivo” (seconda motivazione). Se opta per la seconda motivazione gli rimane ancora da determinare i mezzi da impiegare per esprimere e comunicare il contenuto affettivo del brano. L’impiego di tali mezzi, che sappiamo essere di ordine dinamico, agogico e timbrico, va innanzitutto subordinato a quella legge fondamentale dell’arte che è la varietà ossia la differenza, il contrasto fra i vari elementi di una composizione. Un ritmo uniforme, un timbro uniforme, un’intensità sonora sempre uguale, non producono varietà ma uniformità, monotonia, noia (che Verdi definiva “il peggior nemico della musica”).
La varietà, al contrario, è movimento, chiaroscuro, policromia. L’opera d’arte, sia essa plastica, pittorica, poetica o musicale ha sempre una sua precisa architettura fatta di armonia degli spazi, dei volumi e dei colori. La prima preoccupazione dell’interprete deve essere rivolta all’individuazione dell’architettura del brano, a scoprirne l’armonia strutturale ossia l’insieme dei rapporti fra le singole parti e il tutto.
Prendiamo, per esempio, il nostro Giochi proibiti (chi non ne ha una copia?): salta subito all’occhio che il brano è diviso in due parti, la prima in modo minore, la seconda in modo maggiore. Ecco dunque un primo elemento di contrasto da mettere in rilievo. La tonalità di Mi minore ha sulla chitarra un carattere di tristezza, di abbandono, di dimessa mestizia, mentre la tonalità di Mi maggiore è allegra, vivace, brillante. Come creare un contrasto fra questi due caratteri? Con un tocco calmo, disteso, una sonorità fra il piano e il mezzo piano, un timbro tendenzialmente scuro nella prima parte; con un tocco più energico, più animato, più luminoso nella seconda. Se qualcuno obbiettasse che il diverso carattere modale è di per sé sufficiente a creare il contrasto desiderato, risponderei che anche il solo bianco e nero può rendere bene la natura di un disegno, ma allora, perché apprezziamo tanto il quadro colorato?
Che funzione ha il colore in un quadro se non quella di far emergere i particolari rapporti di affinità o di contrasto tra le figure? E i quadri di solo colore, privi di particolari contenuti concettuali, non sono forse ugualmente generatori di atmosfere, suscitatori di stati d’animo più o meno ben definibili? Un’esecuzione musicale “in bianco e nero” può forse avere un suo fascino sottile, ma ben difficilmente si può affermare che giovi alla comunicabilità dell’opera musicale come o più di un’esecuzione “a colori”.
Ma torniamo al nostro pezzo e all’esecuzione “sofferta” dell’ignoto esecutore. A che cosa sono dovute quelle sospensioni sporadiche che fiaccano lo slancio della melodia? Forse ad una grave carenza energetica che ne rende oltremodo faticoso l’incedere? E’ quel Si uno stanco pellegrino che fa due passi e poi si siede sul ciglio della strada? Quali effetti potrà produrre nell’ascoltatore un tale stentato andamento, se non un penoso senso di stanchezza ed uno stato di apprensione per l’evidente impossibilità di giungere ad una qualsiasi méta? Che cosa fare, infine, per infondere un poco di energia al flusso melodico?
Proviamo a fare un semplice esperimento suonando una serie di note a vuoto su una qualsiasi corda con uguale intensità sonora e velocità uniforme a 100 di metronomo (Fig.1). Non si può certo dire che una simile sequenza abbia un qualche senso musicale.
Se, pur mantenendo inalterata la durata di ogni nota, aumentiamo o diminuiamo gradualmente l’intensità sonora, la successione assume un netto senso di moto ed una precisa connotazione direzionale (Fig.2).
Un importante effetto agogico si può ottenere mantenendo invariata l’intensità dei suoni ma variando la velocità fra le note, ossia accelerando e ritardando (Fig.3).
Effetti ancor più marcati di pulsione affettiva si potranno ottenere combinando gli interventi dinamici e agogici (crescendo + accelerando) (diminuendo + ritardando) con l’ulteriore applicazione di effetti timbrici come schiarendo (con il crescendo + accelerando) o scurendo (con il diminuendo + ritardando).
Per tornare al nostro amico sotterraneo, gli consiglieremmo dunque di dare in tal modo alle volute melodiche del suo Giochi proibiti una maggiore tensione vitale che certamente gioverebbe a meglio comunicarne il pathos.
Poiché due buone regole generali esigono che in salita si debba crescere e accelerare e che in discesa di debba diminuire e rallentare, nella prima sezione si potrebbe realizzare un lieve ripiegamento dinamico sull’iniziale tratto discendente di tre battute, in modo da conferire, con un crescendo unito ad un rubato discreto, maggiore slancio al successivo tratto ascendente culminante con il Mi acuto.
Quanto ad esitare oltre il tempo scritto, in maniera più o meno prolungata, su una nota, ciò può avvenire e produrre un positivo effetto espressivo in tre casi principali :
1) se la nota si trova al culmine di un tratto melodico (nel nostro caso, il primo Mi della 5a battuta);
2) se la nota presenta un’alterazione eccezionale (nel nostro caso, il Re diesis della 10a battuta);
3) se la durata della nota è anomala rispetto al contesto ritmico.
Oltre a ciò, per conferire ad una melodia il senso di un ininterrotto percorso sonoro occorre evitare tanto l’esagerata lentezza prodotta da un’eccessiva distanza temporale fra i singoli suoni, quanto la deformazione del suo tracciato a causa di accentuazioni improprie (come quella del caso in questione).
Se applicate con giudizio, queste piccole regole fondamentali, permettono di evitare grossolani errori, anche se si deve riconoscere che non di rado sono proprio le deroghe a tali regole a conferire un sigillo di superiore originalità stilistica alle esecuzioni di certi grandi interpreti.[1]
[1] Sull’argomento vedasi anche M.Storti: LA CHITARRA ESPRESSIVA, codice elementare della comunicazione musicale (Casa Musicale Eco).