I DOLORI DEI CHITARRISTI SNOB
Mauro Storti
“Denigrare il lavoro tarreghiano (quello stesso che a volte fu esaltato oltre ogni ragionevole limite) era divenuto quasi un vezzo…” grazie soprattutto al ridicolo atteggiamento snobistico di quanti, esaltati dalla riconquistata patente di nobiltà, per merito principalmente di Segovia, hanno ritenuto, da veri parvenus, di doversi scrollar di dosso un passato di indubbia indigenza culturale e, facendo di tutta l’erba un fascio, stendere un verecondo velo su quanto men che altamente nobile [leggi: popolare ] potesse affiorare dalla letteratura tarreghiana.
Solo alle sofisticate rielaborazioni delle canzoni catalane di Llobet fu concesso di sottrarsi al severo ostracismo di una schiera di presuntuosi intellettuali smaniosi di reinventare una chitarra purtroppo priva di quell’anima profonda ben compresa da un pur tanto decantato Manuel De Falla che scriveva:
“Strumento ammirevole, tanto sobrio quanto ricco che, rude o dolce, sa soggiogare lo spirito, e nel quale, con l’andar del tempo, si sono sedimentati i valori essenziali di nobili strumenti decaduti dei quali raccoglie l’eredità senza rinunciare al suo carattere e a quanto deve al popolo per la propria origine” [la sottolineatura è nostra].
I due opposti concetti ideali di popolarità e di nobiltà in musica ai quali facevano e fanno riferimento nella loro immaginazione i giovani e meno giovani chitarristi snob, sono ben rappresentati nelle due seguenti foto d’epoca. Nella prima immagine, in contrasto con il decoro di un ambiente impreziosito da lampade, tappeti ed arazzi, si vede un Tárrega dall’abbigliamento alquanto dimesso e rivelatore di uno scarso interesse per quanto attiene all’esteriorità e alla sua stessa immagine. Egli appare tutto “materialmente” concentrato su un delicato gesto strumentale tanto sorprendente da far convergere su di esso lo sguardo intrigato di un manipolo di appassionati borghesucci di provincia.
Sul tappeto dell’accogliente salone della prima immagine si possono contare (dettaglio assai poco estetico e quanto mai “terrestre”) ben otto piedi calzati in altrettante scarpe comuni e di varia foggia e dimensione. Nella seconda immagine, aperta su uno spazio immateriale e senza confini si vedono, quasi adagiate su soffici nuvole, quattro persone estasiate (tra le quali ci sembra riconoscere Berlioz e Shubert) che circondano la sublime figura di un Liszt avvolto in una giacca di prezioso velluto e rapito in un momento di sublime contemplazione. Alle poche mani dalle dita affusolate fa riscontro un solo piccolo e grazioso piede serrato in uno scarpino di foggia deliziosa (sicuramente alla moda del tempo) che spunta all’estremità di un pantalone di stoffa fine e ben stirata. A quale delle due illustrazioni potremmo conferire il blasone di nobiltà? Ovviamente
alla seconda! E, beninteso, nessuna musica potrà essere più nobile di quella pregna di nobiltà che potrebbe scaturire dalla seconda immagine. Ecco, il gioco è fatto: per lo snob, l’immagine diventa garanzia di qualità!
3 – Lo stesso fenomeno di “rigetto” è accaduto notoriamente anche per le opere del cinema verista.