Dimenticare Segovia

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Ieri…

Con la morte di Andrés Segovia scompare non solo il famosissimo interprete il cui nome rimarrà indissolubilmente legato alla storia della chitarra, ma una delle figure musicali più eminenti del nostro secolo. Se non mancano fra i chitarristi del passato personalità eccellenti per gusto, raffinatezza , sensibilità, dottrina o virtuosismo, nessuna di esse ebbe dal Cielo una dote di talento tanto eccelsa e cospicua quan­to quella toccata in dono a Lui.

E nessuno avrebbe saputo farla fruttare meglio. Tenace e infaticabile nello studio per raggiungere il pieno possesso della tecnica strumentale ed interpretativa (non nascose mai, con grande modestia, che la sua abilità chitarristica era frutto di un duro ed assi­duo lavoro), guidato da un sicuro istinto e da un intelligente spirito di ricerca, egli formulò un suo proprio metodo didattico, al quale non furono estranei principi desunti ed elaborati dai più moderni metodi per altri strumenti, che gli consentì di innestarsi con tutto il suo fresco vigore sul ceppo tarreghiano e portarlo a completa fioritura.

Segovia

Segovia

Certo, nei primi anni del novecento la musicologia aveva riscoperto il fascino dell’antica musica dei liutisti, dei vihuelisti e dei clavicembalisti, ma solo grazie a Segovia la chitarra non è rimasta relegata fra gli strumenti antichi, come il liuto di un Chilesotti, la vihuela di un Pujol o il clavicembalo di una Landowska ed ha potuto inserirsi quasi di prepotenza nella corrente musicale di avanguardia della prima metà del XX secolo. Lo stesso Llobet, artista mo­derno ed estremamente raffinato nonché concertista notissimo in tutto il mondo (assai più noto che gli altri pochi validi chitarristi attivi nello stesso periodo, da Sainz De La Maza a Fortea, da Pujol a Barrios, da Mozzani ad Albert) ha influito ben poco, du­rante i quarant’anni della sua carriera artistica, sulla evoluzione della letteratura musicale e sul definitivo ri­scatto dalla sua posizione di inferiorità. Solo l’eccez­ionale levatura artistica ed umana di Segovia può spiegare il fenomeno della completa e definitiva rinascita della chi­tarra.

Non si può non rimanere stupiti dalla quantità e qualità delle opere musicali composte per Segovia a partire dal 1924, data del suo debutto parigino. Per settant’anni il suo nome è sfrecciato come una meteora ai quattro punti cardinali sollevando sfrenati entusiasmi ed elargendo ovunque emozioni indimenticabili.

Egli è stato ben più cheun cavaliere errante che, chitarra al fianco in guisa di lancia percorreva lande sconfinate abbeverandosi di paesaggi e lasciando i luoghi che attraversava pieni di malinconiche musiche antiche”.[1]

Egli è stato un moderno eroe coraggioso e positivo, un instancabile apostolo della musica e della chitarra che ha vissuto, per dirla con parole sue, “una intensa vita sedentaria alla velocità di 600 km/h”. Novello Re Mida, le sue dita sapevano trasformare in oro tutto ciò che toccavano: il piùAndreas Segovia ingenuo minuetto di Sor come la più intricata musica barocca o di a­vanguardia suonavano con accenti inusitati e affascinanti in un alone di pura poesia, su uno strumento che sembrava essere pur sempre la stessa umile e popolaresca chitarra. Quando alla ribalta si affacciava Andrés Segovia, violinisti, violoncellisti, pianisti e organisti scoprivano con stupore che su uno strumento dalle risorse tanto limitate si potevano eseguire non solo alcune delle pagine più note del loro repertorio, da Bach a Scarlatti, da Frescobaldi a Mendelssohn, da Albéniz a Granados, ma anche sugge­stive pagine dimenticate del passato rinascimentale accanto ad altre di importanti autori contemporanei.

“I concerti di Segovia hanno prodotto dovunque un senso di stupore e di meraviglia costringendo i più importanti quotidiani a dedicare all’artista lunghe colonne di elogi e a risvegliare simpatia per la chitarra. Se ciò torna a onore di Segovia ritenuto “chi­tarrista limite“, torna pure a vantaggio e decoro del nostro strumento che finalmente viene elevato al livello degli altri più nobili, perché grazie a Segovia si è potuto far sentire di quante risorse, fino a ieri sconosciute alla maggioranza, sia capace la chitarra”. [2]

“Aver sentito Segovia significa aver raggiunto le sfere più alte della beatitudine: egli sa conferire alla chitarra una melodiosità incantevole, morbida, trasparente, un’armo­nia talmente ricca da parere che suonino due chitarre; sa condurre il suo strumento in una plaga pura e assoluta, immune da compromessi meccanici e da preconcetti gerarchici” (Lucia­no Chailly, 1955).

“I suoi concerti non sono l’esibizione di un virtuoso sen­za pari, ma una sorta di azione spirituale, unica nella sua autenticità, un’evasione dal quotidiano, un’atmosfera nella quale si dimentica lo strumento e l’interprete, ma si è tra­sportati dall’azione musicale spinta alle vette più alte, un arricchimento spirituale, una comunione nella bellezza” (Alexandre Tansman, 1973).

“I poteri di quest’uomo e della sua arte sono di quelli che non si possono misurare. Il nome di Segovia è inseparabi­le dalla vita delle arti del nostro secolo che egli ha arric­chito con il suo magnifico talento, con la sua arte sovrana di grande artista al servizio dei geni più alti della musica di tutti i tempi” (Henry Sauguet, 1973).

In chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo e di conoscer­lo personalmente resterà sempre vivo e pregnante il ricordo della sua arte e della sua personalità. Quanti lo conoscono o lo verranno a conoscere attraverso le incisione discografiche dovran­no guardarsi dal rischio di formulare giudizi senza tenere in considerazione le necessarie coordinate storiche ed estetiche che sole possono rendere l’esatta dimensione della sua ormai mitica figura artistica. Per Lui non si potrebbe formulare epitaffio miglio­re di quello, commosso e poetico, stilato di Rémy Médard per il suo maestro Francesco Corbetta:

Passant, si tu n’as pas entendu ses merveilles 

Apprends qu’il ne devait jamais finir son sort, 

et qu’il aurait charmé la mort 

Mais, hélas, par malheur, elle n’a point d’oreilles.[3]    

Oggi…

Nel rileggere dopo 25 anni questo mio articolo dal titolo “Addio, Maestro” pubblicato sul n.5 de “I quaderni dell’Ateneo” in occasione della morte di Andrés Segovia, non posso sottrarmi ad un penoso senso di tristezza al pensiero di quanto di irriverente e miserevole è stato detto e scritto da allora su di Lui. Caduto il “Grande Albero” (non la poetica quercia generatrice di vili ghiande ma il generoso dispensatore di frutti che noi tutti abbiamo colto a piene mani) non è mancato chi si è avventato sulle sue spoglie per farne legna da ardere. Nulla di analogo è mai accaduto dopo la scomparsa di altri famosi personaggi dell’arte musicale: semmai, ad essi è stato riservato l’oblio ma mai un discredito tanto stupido e malevolo.

Non è difficile riconoscere quali motivazioni siano alla base di questo fenomeno che ancora si protrae grazie all’ottusa propaganda di supponenti quanto interessati “dottori” del pensiero chitarristico ai quali, venuta meno l’ingombrante figura del Maestro, si aprivano allora tre sole vie per sperare di emergere dall’ombra di un mal sopportato anonimato:

l – fare come Lui: obiettivo altamente stimolante ma difficile da raggiungere in quanto poneva come presupposto la piena comprensione del suo linguaggio tecnico-estetico e la capacità di appropriarsene in vista di una logica evoluzione dell’arte chitarristica.

2 – fare meglio di Lui: ambizione assai difficilmente realizzabile, dato il carattere assolutamente eccezionale della sua personalità umana e artistica.

3 – fare diversamente da Lui eludendo, nell’incapacità di comprenderla, la sua magistrale lezione per volgersi da un canto al passato, con l’assurda pretesa di far assurgere la scienza musicologica al rango di pratica artistica viva, o proiettandosi in avanti per sottrarsi ad ogni confronto; ma diverso non significa di per sé migliore.

La chitarra classica ha avuto i suoi cicli storici compiuti: Sor e Giuliani sono i capiscuola che chiudono i due versanti del ciclo ottocentesco; Giulio Regondi e Francisco Tárrega sono gli innovatori che ne hanno aperto uno nuovo che ha prodotto un Llobet, un Barrios e un Segovia. Se, come scriveva Bruno Tonazzi, “l’importanza di uno strumento dipende unicamente dalla levatura artistica della propria letteratura” va riconosciuto a Segovia il merito di avere contribuito come nessun altro ad innalzarne il livello sollecitando per primo l’interesse di compositori di riconosciuto valore che alla chitarra non avrebbero mai pensato senza la forte attrazione esercitata su di loro dalla sua imponente figura artistica.

…e Domani?

A nulla vale lamentarsi di una situazione attuale che vede “mezze calzette che vanno per la maggiore da decenni” (citazione dal tono popolaresco ma invero efficace!). Proviamo a domandarci se la levatura artistica della letteratura frequentata dalla maggioranza dei chitarristi di oggi sia al livello dei Dowland, Bach, Albéniz, Llobet, Barrios, Ponce, Torroba, Turina, Castelnuovo-Tedesco, Rodrigo, Mompou, Walton e Britten.

Saranno mai le pagine di un linguaggio contemporaneo cervellotico e muto agli affetti, o le trascrizioni di canzoni e motivetti cinematografici, o le danze latino-americane ad impedire la caduta della chitarra classica dall’alto livello sul quale era stata posta da Segovia?


[1]  F. Garcia Lorca: Sainz de la Maza (1920).

[2] Rivista La chitarra, Bologna 1939.

[3] Passante, se non hai mai sentito le sue meraviglie sappi che egli non avrebbe mai dovuto finire i suoi giorni, e che avrebbe incantato la morte ma, ahimè, sfortunatamente essa non ha orecchie!

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