Per strutture strumentali composte si intendono quelle formate dalla combinazione di una melodia e di una concomitante struttura armonica o contrappuntistica di accompagnamento. Nel presente studio non si tratterà dell’accompagnamento ma della sola componente melodica con particolare attenzione alla sua dislocazione entro lo spazio esacordale che, come mostra la Fig.1, può essere in posizione acuta (1a e 2a corda), mediana (3a e 4a corda) o grave (5a e 6a corda).
Premesso che le strutture composte di tipo melodico-armonico costituiscono in maniera pressoché esclusiva l’intero corpus del repertorio classico sette-ottocentesco, è interessante osservare che nelle opere composte fino al tardo Ottocento (compresi Mertz e Coste, ma ad eccezione di Regondi e Tárrega) la posizione della melodia figura unicamente in posizione acuta o grave, e quasi mai in posizione mediana.
Nota: [1]
Ciò può sembrare un fatto poco rilevante ma, se analizzato a fondo, si rivela un fenomeno di nodale importanza nel percorso evolutivo del lessico tecnico-musicale chitarristico. Con l’impiego di modalità tecniche affatto nuove acquisite nel ‘900 per merito di tre eccezionali Maestri quali Francisco Tárrega, Miguel Llobet e Andrés Segovia, si è prodotta una soluzione di continuità fra due epoche storiche che richiederebbe una diversa definizione utile a distinguere la chitarra ottocentesca classica “a corde pizzicate” dalla chitarra post-tarreghiana.
La prima risulta ormai appartenere ad un periodo storico di indubbio e rilevante interesse ma ormai cristallizzato (nessun compositore serio si sognerebbe oggi di comporre alla maniera dell’inesauribile Giuliani) per cui risulta essere uno strumento che se non può dirsi antico è senz’altro da ritenersi antiquato, non rappresentando che un importante ma sorpassato stadio evolutivo tecnico e musicale.
Quanto alla seconda, cui con una semplice ma felice “zeppa” di tipo enigmistico potremmo attribuire un nome pregno di significato come “Chitárrega”, si può dire che sia ben altro che un povero strumento “a pizzico” date le nuove e complicate funzioni competenti alla mano sinistra e le molteplici funzioni dinamiche e timbriche competenti alla mano destra.
Le seguenti Fig.2 e 3 mostrano due esempi paradigmatici di tali disposizioni tipiche della melodia nel repertorio classico.
3 – MELODIA SPEZZATA
Altri interessanti ma alquanto più rari tipi di strutture composte si possono osservare in alcuni studi di Sor e di Carcassi nei quali la melodia risulta spezzata in più tratti e dislocata alternativamente all’acuto e al grave (Es. 4).
4 – MELODIA OCCULTA
Non è infrequente trovare in altre pagine dei medesimi due autori tracce melodiche che potrebbero definirsi occulte in quanto, disposte solitamente sulla seconda e la terza corda, sono inserite entro un contesto arpeggiato che ne impedisce l’immediata evidenza (Fig.5 e 6).
E’ importante osservare che la configurazione visiva di tali strutture, di chiara derivazione barocca e somigliante ad una banale sequenza di arpeggi, può trarre facilmente in inganno un chitarrista poco esperto inducendolo ad eseguire null’altro che una struttura armonica arpeggiata sicché la melodia, priva del minimo rilievo dinamico, finisce per dissolversi indistintamente entro un semplice e omogeneo flusso armonico.
5 – MELODIA IN POSIZIONE MEDIANA
Come già accennato, interi tratti di melodia in posizione mediana si ritrovano dapprima nelle pagine di Giulio Regondi per divenire in seguito più presenti nelle opere originali e nelle trascrizioni di Tárrega, Llobet e Segovia (Fig.6, 7 e 8).
6 – TRASCRIZIONI
Le trascrizioni per chitarra di pagine destinate in origine ad altri strumenti è stata ampiamente praticata in ogni epoca ma, per quanto attiene alla disposizione della melodia, è da rimarcare la netta differenza tra quelle di impronta ottocentesca e quelle tarreghiane. Tra le pagine dell’imponente corpus di trascrizioni effettuate da Tárrega non è infrequente osservare il ricorso alla disposizione mediana della melodia, vuoi per necessità imposte dalla sua tessitura, vuoi per profittare delle nuove risorse timbriche rese disponibili dal nuovo corso dell’arte liutaria intrapreso con successo da Antonio Torres.
Mettendo a confronto due trascrizioni del “Chiaro di luna” di Beethoven, una prima realizzata in La minore da Manlio Biagi [2] e una seconda realizzata in Re minore da Francisco Tárrega, è possibile rendersi conto della decisa svolta impressa dal grande Maestro spagnolo all’evoluzione dell’arte chitarristica, tanto per la diversa e maggiore complessità dell’apparato tecnico utilizzato che per l’alta qualità dell’esito sonoro (Fig.10 e11).
Come si può notare, l’apparato tecnico impiegato da Manlio Biagi è di impronta esclusivamente ottocentesca:
– la mano sinistra, gioca prevalentemente in prima posizione e con il ricorso frequente alle corde a vuoto impiegate tanto per la melodia che per la formazione delle classiche figure accordali del prête-à jouer.
– la mano destra, pratica esclusivamente le classiche formule arpeggiate in forma stretta da eseguire con lo stesso tocco libero impiegato anche per la melodia.
Dal canto suo la trascrizione tarreghiana presenta elementi tecnici di assoluta novità e di rilevante interesse riguardanti entrambe le mani:
– la scordatura in Re della 6a corda (praticata in precedenza quasi esclusivamente da Fernando Sor);
– la collocazione della melodia sulla 4a e la 3° corda;
– la trasposizione dell’accompagnamento sulle corde acute con l’impiego di figure accordali sia strette che late, rivoltate sul manico anche con gioco a “campanella”;
– la realizzazione di due piani dinamici e timbrici differenziati mediante l’impiego del tocco appoggiato per le note del canto e del tocco libero per l’accompagnamento.
Confrontando le due trascrizioni, non si può non riconoscere che nella prima, creata in stile ottocentesco la melodia, relegata in prima posizione e sulla prima corda, risulta inserita entro un tessuto sonoro complessivo che risulta timbricamente e dinamicamente omogeneo; nella seconda la disposizione della melodia sulle corde mediane produce una sonorità più scura e profonda che bene si addice all’atmosfera romantica e notturna del pezzo beethoveniano.
A Tárrega, pianista e chitarrista romantico, va dato il merito di avere impresso una nuova direzione alla storia della chitarra aprendo vie nuove alla tecnica e all’estetica chitarristica con le sue famose trascrizioni di opere di Bach, Beethoven, Albéniz, Chopin, Schubert, Mendelssohn, Schumann, Wagner e tanti altri.
A partire da queste, la letteratura chitarristica, scossa da un nuovo impulso vitale, poté rianimarsi e nel lungo arco del Novecento acquisire, insieme con la possibilità di trascrivere pagine impegnative come quella illustrata in Fig.13, nuove e importanti opere originali di autori come Llobet, De Falla, Segovia, Torroba, Turina, Ponce, Castelnuovo Tedesco, Rodrigo, e molti altri fino alle soglie del XXI secolo.
Sulla base di quanto esposto, si deve prendere atto che la figura e l’opera di Tárrega costituiscono un preciso ed effettivo spartiacque fra la chitarra ottocentesca e la chitarra moderna. Non si può negare che le due chitarre si trovino oggi a convivere in buona armonia: c’è chi si dedica in via esclusiva e con rigore filologico alla letteratura ottocentesca utilizzando tecniche e strumenti d’epoca e chi preferisce, al contrario, dedicarsi unicamente al repertorio post-tarreghiano o contemporaneo.
Fin qui nulla da eccepire, ma non si possono sottovalutare le conseguenze negative derivanti da tale dualismo che separa, come un alto steccato, la didattica ottocentesca da quella “chitarreghiana”. Il principiante che in fase di primo approccio allo strumento segua superate metodologie ottocentesche o improbabili percorsi autodidattici corre il serio rischio di acquisire modalità operative manuali destinate a rivelarsi col tempo errate, lacunose e pressoché incorreggibili.
[1] Tratto da M. Storti, Trattato di chitarra , Cap.131.
[2] Manlio Biagi (Terni 1896 – Milano1942).
[3] Un’altra trascrizione di Tárrega molto interessante circa la disposizione della melodia è il Notturno Op.9 n.2 di F.Chopin, nel tratto dalla battuta n.17 alla battuta n.21.