Tesi di Laurea – (Parte V)

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Intervista di Flavio D’Ambra a Mauro Storti.

1 – Biografia 2 – Il Metodo 3 – La Produzione 4 – I Programmi 
5 – La Didattica oggi 6 – Le “Ecloghe” 7 – Liuteria 8 – Il Futuro 

5 – LA DIDATTICA CHITARRISTICA OGGI

Come considera in generale la didattica della chitarra in Italia?

Mediocre, a voler essere generosi. Si può parlare di una scuola di pensiero, come quella di Gilardino, ma non di una scuola pratica di alto livello. Se si continua come sempre, a prendere in considerazione  soltanto gli allievi che presentano rilevanti doti naturali  non ci sarà mai una vera scuola. Una volta incontrai l’ottimo Alberto Ponce in occasione del concorso “Pittaluga” di Alessandria. Lo avevo sentito suonare già anni prima e quando i miei allievi mi chiedevano un consiglio per scegliere un corso di perfezionamento da seguire, li mandavo da lui. In quell’occasione mi disse: “La cosa bella dei tuoi allievi è che quando  chiedo loro una cosa, la sanno fare subito: questa è scuola!”.

Spesso alcuni personaggi reputati “grandi didatti” nonostante siano realmente dotati di grande cultura, nei corsi da loro tenuti non entrano nello specifico dei problemi dell’esecuzione e si lasciano andare a pensieri astratti ed argomentazioni filosofiche che creano confusione nell’allievo. Il musicista che si dedica alla formazione di base e alla didattica viene mal visto perché magari non ha affrontato una vera e propria carriera concertistica. Cosa ne pensa?

Questo purtroppo è il malinteso di chi non sa distinguere fra corsi di didattica, corsi di perfezionamento e corsi di interpretazione. Anni fa tenni dei corsi di didattica della chitarra a Fermo per la S.I.E.M. e in quell’occasione conobbi una famosa insegnante polacca di pianoforte che in un articolo poi pubblicato su Musica Domani rendeva noto il programma dettagliato di didattica del pianoforte del Conservatorio di Varsavia.

Ricordo la reazione incredula di un direttore di conservatorio nostrano, anch’egli pianista, che pensava fosse impossibile insegnare ad insegnare, ossia quella disciplina che viene chiamata metadidattica. Quel programma era articolato in venti punti nei quali venivano trattati aspetti di tecnica, metodologia, storia dei vari maestri e delle varie epoche, J.S Bach come didatta etc.. Purtroppo c’è ancora chi  non vuole comprendere l’importanza del saper insegnare!

Una volta Alirio Diaz mi fece i complimenti per le mie pubblicazioni e per i miei allievi e mi disse di non sapere neppure da dove cominciare per insegnare a suonare la chitarra! Ricordo una sua lezione all’Accademia Chigiana: quando un’allieva iniziò a suonare la Ciaccona di Bach la fermò sul primo accordo perché i tre suoni non erano di uguale intensità e colore. Lui le fece sentire a più riprese la sua esecuzione, ma l’allieva non riusciva a riprodurla esattamente.

Dopo un po’ di questo ping-pong la lezione proseguì senza una spiegazione tecnica su come produrre questi tre suoni simultanei in maniera perfetta. Sarebbe stato sufficiente dire che invece di tirare le corde bisognava compattare le dita per imprimere loro una spinta frontale. E’ questa capacità di risolvere i problemi tecnici di base che manca  spesso a molti concertisti.

Quando ancora insegnavo al Conservatorio di Piacenza si era iscritto al biennio specialistico una ragazza che stava seguendo parallelamente un corso di perfezionamento in una di quelle accademie. Alla prima lezione mi adoperai per migliorarle il tocco ritoccandole il profilo delle unghie e mostrandole i diversi angoli di attacco. Quando venne da me per la seconda lezione mi riferì che l’insegnante dell’Accademia si era complimentato con lei proprio per l’ottima qualità del tocco. Rimasi basito pensando fra me: sta facendo un corso di perfezionamento e nessuno le ha mai detto nulla per migliorare il suo tocco?

Avendo avuto una breve esperienza di studente di canto posso affermare che anche lì esiste un problema del tutto simile, addirittura peggiore per quei didatti dotati di grandi doti naturali che non riescono a capire come aiutare gli allievi a superare le difficoltà.

Sor nel suo Méthode pour la Guitare spiega con disegni realizzati con squadra e compasso come fare per ottenere determinati risultati, e a chi lo contestava dicendogli che voleva fare “lo scienziato” rispondeva che è come voler insegnare canto senza sapere cosa succede dentro la gola!

Il suo era l’atteggiamento di chi avendo studiato presso i benedettini oltre alla musica anche la geometria, la matematica e le scienze era dotato di un notevole spessore culturale. Criticando i metodi in voga ai suoi tempi  egli  sosteneva che in un metodo non serve dire solo cosa si può fare ma come si deve fare per sviluppare le proprie capacità!

In Italia esistono diverse accademie private. Cosa consiglierebbe oggi ad un allievo che voglia perfezionarsi dopo gli studi accademici.

Il mio ultimo allievo diplomato, Marco Cremonesi è andato a fare l’Erasmus in Germania presso la Hocschule fur musik di Trossingen dove ha successivamente proseguito gli studi. Prima ancora di terminare gli studi ha trovato subito lavoro e si è stabilito colà.

Ultimamente ho ascoltato il bravissimo chitarrista napoletano Francesco Scelzo che si è perfezionato in Inghilterra alla Guildhall School of Music and Drama di Londra. Presumo che anche quello sia un ottimo posto per un corso post-diploma.

La Scuola Civica di Roma sta organizzando dei corsi di perfezionamento e tra i docenti c’è Carlo Marchione che è attualmente uno dei didatti più richiesti.

Ho assistito a Milano ad una masterclass di Marchione che avevo sentito in una incisione discografica dove suonava molto bene ma, sinceramente, la masterclass mi ha lasciato indifferente: mi aspettavo di più, ma forse da una breve masterclass non ci si può aspettare molto. Non ha detto nulla di particolare che mi abbia colpito.

Spesso quelli che per un insegnante possono sembrare problemi minuscoli, magari per l’allievo non lo sono. A volte gli insegnanti si fossilizzano solo su una tipologia di problemi.

Marco Pisoni mi raccontò un episodio divertente. Fece un corso con Diaz a Imperia quando ad un certo punto un allievo chiese al Maestro come ci si potesse abituare a suonare sulle note acute alla fine della tastiera. Pisoni intervenne dicendo: “Lezione n° 13 del Dominio delle corde!”. Lì infatti c’è una lezione che ti insegna a conquistare la parte superiore della tastiera.

Il ruolo del didatta è fondamentale ma è importante che sia sempre bene informato e non limitarsi, come al solito, a trasmettere solo quello che ha imparato da studente.

Sor dice che è difficile correggere certe posizioni dopo averle assimilate e praticate lungamente. E’ vero: uno impara, arriva a 20 anni e poi continua per tutta la vita senza avere il coraggio di provare a cambiare. E’ forse anche questo atteggiamento che frena la ricerca di nuove metodologie.

Da allievo ho sempre avuto predisposizione al cambiamento, anche appunto per ricerca personale. Vedendo e sentendo un chitarrista suonare in un certo modo  mi chiedevo come potesse suonare su di me quel modo diverso. Ho sempre preso spunto da diversi insegnanti commentando anche con il mio insegnante che si è sempre mostrato molto aperto a dialogare su tecniche e modi diversi di suonare di altri insegnanti e musicisti. Addirittura anche a tre mesi del diploma feci dei cambiamenti sulla postura stimolato da un corso di perfezionamento di Adriano Del Sal (ex allievo e docente dell’Accademia di  Paolo Pegoraro) che mi ci propose degli esercizi tecnici che cominciai a praticare regolarmente per un paio d’ore prima del regolare studio sui brani. Lei pensa sia giusto lasciare un po’ liberi gli allievi di sperimentare da sé?

Io sconsiglio di andare a fare dei corsi di perfezionamento prima della fine degli studi regolari perché si rischia di cadere in grande confusione. Ricordo un mio allievo che, dotato di un talento straordinario, dopo soli tre anni suonava di tutto, dal Tema variato e Finale di Ponce alla Ciaccona di  Bach senza  sbagliare una nota. Andò a fare un corso con Oscar Ghiglia e tornò con un’incredibile confusione in testa.

Intanto aveva cambiato la chitarra di Armando Giulietti con una chitarra di José Ramirez  perdendo la sua eccezionale precisione. Poi provando a suonare la suite BWV995 si fermava di continuo come paralizzato al ricordo dalle indicazioni che gli aveva dato quell’insegnante. In seguito smise di suonare per poi riprendere diversi anni dopo e diplomarsi.

Negli anni di conservatorio ho assistito a diverse lezioni di vari insegnanti di chitarra. Sin dal primo anno, finivo la lezione con il mio insegnante e poi andavo a curiosare a seguire le lezioni degli altri per colmare la mia sete di conoscenza.

Ho notato che il problema di alcuni insegnanti è la mancanza dell’approfondimento dell’analisi musicale e l’utilizzo di un chiaro lessico musicale di base. Nelle sue pubblicazioni, e in molte delle sue revisioni, c’è sempre questa attenzione a far risaltare le componenti fraseologiche, anche tramite la grafia, come fa Villa-Lobos in maniera evidente nei manoscritti degli studi. Penso sia una cosa importantissima perché molto spesso l’allievo si trova di fronte a partiture senza nessun segno di articolazione.

Villa-Lobos l’ha fatto per primo, infatti. E’ una cosa che ho considerato molto intelligente, l’ho copiata e l’ho utilizzata nelle mie pubblicazioni. In diverse altre pubblicazioni ho inserito anche varie altre indicazioni come  gli accenti ritmici, i punti di sospensione, le cesure, le sigle timbriche e le legature di frase,   mai utilizzate in passato nelle pagine chitarristiche.

Non pensa che con la riforma dei conservatori vada peggiorando la situazione didattica? Personalmente ho l’impressione che la preoccupazione degli studenti sia quella di dare esami più che formarsi realmente!

Recentemente ho tenuto una masterclass in un liceo musicale e ho avuto modo di constatare come dalle scuole medie ad indirizzo musicale da cui provenivano gli allievi non stia uscendo nulla di buono: i ragazzi non arrivano preparati al liceo, e di conseguenza neanche al Conservatorio.

Purtroppo, mi rendo conto proprio di questo: anche tra i ragazzi che stanno finendo il vecchio ordinamento c’è  una battaglia al pezzo. E lo si studia al solo fine di superare al più presto l’esame.

E sai poi dove cadono tutti? Nella prova del pezzo in tre ore. Lì devi saper leggere con una certa prontezza altrimenti ti puoi trovare in seria difficoltà. Ultimamente mi è capitato di assegnare come pezzo per le tre ore  un valzer in vecchio stile viennese di Heinrich Albert. Alla prova, di valzer non c’era niente, sentivi suonare tutto in maniera piatta, senza avere una vaga idea di cosa sia un valzer e tanto meno uno staccato!

Il Maestro Angelo Barricelli mi disse di non aver mai sentito parlare dai suoi docenti di staccato per cui ha sempre suonato tutto legato. Oltre tutto suonare legato è pericoloso, perché significa tenere sempre in pressione la mano. Se cambi le posizioni rapidamente e a scatti per suonare legato, avrai sempre i muscoli pericolosamente in presa.

Anch’io ho avuto un problema simile perché mi hanno sempre spiegato di dover evitare quello che in realtà è un problema fisiologico della chitarra ossia i suoni staccati mantenendo tutto il più possibile legato.

Il concetto è totalmente sbagliato. Ho scritto un articolo nel quale affronto questo problema. La chitarra ha un manico e i manici sono fatti per essere afferrati. Non penseresti mai di doverti muovere lungo un manico come faresti su un pianoforte. Poiché è un manico ti viene spontaneo afferrarlo! Poi quando prendi un suono, ti preoccupi di farlo durare perché se stacchi le dita cessa. Il pianista dispone di un pedale che gli consente di tenere i suoni anche togliendo la mano dalla tastiera.

Nel mio lavoro Tecnica fondamentale degli accordi affronto il tema dello studio in staccato proponendo degli esercizi nei quali attuando prese accordali rapidissime si lavora fin dall’inizio con la stessa velocità finale del brano senza affaticare la mano sinistra. Suonando in staccato i suoni successivi risulteranno ovviamente spezzettati, ma con l’aumento graduale della la velocità e la conseguente riduzione degli intervalli fra un suono e l’altro, la musica riacquisterà la sua continuità. Questa tecnica “cinematografica” che ho messo bene a fuoco di recente, dà risultati eccezionali.

E dunque quali prerequisiti deve avere un didatta oggi?

Intanto bisogna avere un grande amore per gli allievi. Ho sempre sentito di amare un allievo per il semplice fatto che desiderasse avvicinarsi alla chitarra. Questa è una precondizione assoluta, al di là del fatto che poi l’allievo continui o meno gli studi. Egli potrà anche allontanarsi dallo strumento se magari gli passerà la voglia, ma credo che l’insegnante debba anche avere tutte le doti necessarie per permettergli di superare  passo dopo passo tutte le inevitabili difficoltà.

Marco Taio, uno dei miei primi allievi e fra i più dotati, mi raccontò un giorno che quando incontrava un particolare problema, bastava che io gli dicessi una parolina e il problema si dissolveva immediatamente! Bisogna innanzi tutto essere in grado di capire l’origine dei problemi per essere in grado di risolverli.

Ieri guardavo il video di una masterclass della chitarrista Ana Vidovic, nel quale un ragazzo suonava un passaggio della Sonatina di Torroba in maniera quasi perfetta, ma ogni volta che lo ripeteva per cercare di imitare l’insegnante, lo eseguiva sempre uguale e senza effettuare lo staccato. Non dubito che la Vidovic, pur comprendendo sicuramente dove stava il difetto, non abbia sentito il dovere di correggerlo, forse perché avrebbe dovuto insegnargli prima di tutto come si esegue lo staccato e magari mancava il tempo. È evidente che certi argomenti di tecnica basilare vanno trattati e risolti prima di affrontarli nei pezzi.